La Mimica come
metodo per l'attore
N:B: Questa pagina vuole essere
semplicemente una esposizione divulgativa di come opera il
metodo mimico e non vuole in alcun modo costituire un
percorso didattico. Chiunque può leggerla per farsi un'idea
personale. Tuttavia si diffida chi non sia autorizzato dal
CDRC a utilizzare gli appunti e le annotazioni presenti in
queste pagine per insegnare il metodo.
IL
LAVORO DELL'ATTORE E L'ESPRESSIONE
La mimica è il
metodo per l'attore. Ma cos'è l'attore? Domanda cruciale, a
cui si possono dare mille risposte diverse: l'attore finge,
l'attore si immedesima, l'attore diventa... Si possono
offrire infinite risposte a questa domanda, più o meno
infarcite di posizioni filosofiche o estetiche di vario
tipo. Quel che è peggio si corre il rischio di perdere un
sacco di tempo e di non arrivare a conclusioni interessanti.
Scendiamo quindi di
livello e poniamo domande su cui sia più facile offrire
risposte soddisfacenti e condivisibili per tutti e
chiediamoci: in cosa consiste il lavoro dell'attore? Cosa
gli è richiesto? La risposta più naturale sembra essere "gli
è richiesto di fare un personaggio, gli è richiesto di
rendersi credibile al pubblico come personaggio diverso da
se stesso". Ma basta poco a capire come questa risposta sia
incompleta. Non sempre all'attore è richiesto di fare un
personaggio diverso da se stesso. Non vediamo forse tutti
noi degli attori di straordinario successo e bravura che,
anziché rappresentare sempre un personaggio diverso a
seconda degli spettacoli o dei film che fanno mettono in
scena, sempre, quasi immancabilmente lo stesso personaggio?
Questo è particolarmente vero per la nostra tradizione
nazionale: pensiamo ad attori come Totò, o più recentemente
Benigni. Forse che Benigni cambia da film a film? Forse che
Totò cambia da film a film? Un po' forse, cambiano anche
loro; ma, diciamocelo francamente, a noi piacciono tanto
perché riconosciamo sotto il personaggio l'attore Benigni,
l'attore Totò... costoro non fanno grande sforzo per
apparirci diversi da come sono, al contrario, ci piacciono
proprio perché sono Benigni e sono Totò! Contrapponiamo ora
questi attori ad altri attori, come, ad esempio, Robert de
Niro, che risulta, da film a film, quasi irriconoscibile. In
de Niro, al contrario, apprezziamo la capacità di apparire
completamente diverso da sé.
Forse che esistono
due tipi di attori? Certo, forse anche più di due tipi; ma
il punto non è questo. Chiediamoci invece che quei due tipi
di attori configurano in realtà due mestieri diversi, che
non possono essere in alcun modo paragonati? Questo è più
discutibile; in fin dei conti sia Benigni che de Niro sono
attori, vanno a Hollywood, vincono l'Oscar... Eppure vale la
pena di notare che la maggior parte dei "metodi" per il
lavoro dell'attore falliscono nell'individuare una comunica
tecnica in questi due tipi di attori.
Il metodo mimico
invece non fallisce. Secondo i mimici attori come Toto e de
Niro costituiscono due modi diversi di fare lo stesso
lavoro, il lavoro dell'attore. Il lavoro dell'attore
consiste, in primo luogo, nel controllo delle proprie
capacità espressive. E' importante sottolineare la parola
"espressione"; non parliamo di controllo delle passioni;
parliamo di controllo delle capacità espressive. Un buon
attore è colui che riesce a fare in modo che il pubblico
abbia un'impressione generale univoca di ciò che lui sta
facendo: egli esprime certe cose e il pubblico sente
esattamente ciò che l'attore vuole che senta.
Questo, si osservi,
è tutt'altro che facile: il controllo sulle proprie capacità
espressive è il risultato di anni e anni di addestramento e
di lavoro. L'espressione, nella vita di tutti i giorni non
sempre è univoca. Se io tengo la mia testa tra le mani chi
mi vede può pensare che io sono stanco, oppure può pensare
che io sono triste, oppure può pensare che ho mal di testa.
Il lavoro dell'attore consiste, in primo luogo nel fare in
modo che il pubblico abbia una impressione determinata dai
suoi gesti e dalle sue parole. Tanto più è bravo un attore
tanta più parte del pubblico pensa esattamente ciò che lui
vuole che essi pensino.
Ma come fa l'attore
a controllare le proprie capacità espressive? In primo luogo
c'è qualcosa che l'attore esprime, e quel qualcosa sono
emozioni, sentimenti, pensieri e idee. In secondo luogo c'è
il veicolo e lo strumento che l'attore utilizza. Il veicolo
varia a seconda del tipo di attore e/o del tipo di arte in
cui egli opera. Nel teatro di movimento egli adopera solo il
corpo, nel teatro di parola egli adopera principalmente la
voce e il corpo; in televisione e in cinema adopera sia la
voce che il corpo che l'espressione facciale.
Quindi il lavoro
dell'attore consiste nel fare in modo che certi sentimenti
pensieri, idee o emozioni vengono correttamente decifrate
dai suoi gesti, dalla sua voce, dal suo sguardo. La mimica è
lo strumento tramite cui questo risultato viene ottenuto.
L'ISTINTO MIMICO E IL SUO RISVEGLIO
Secondo Orazio Costa esiste, negli
uomini e segnatamente nei bambini, un istinto che egli
chiama "Istinto Mimico".
Comincio a rilevare l'importanza essenziale ai fini
dello sviluppo dell'individuo animale superiore dell'istinto
dell'imitazione. Attraverso esso il piccolo imitando
l'adulto, acquista il carattere definitivo della specie; le
abitudini, le qualità. L'uomo partecipa di questo istinto di
imitazione; tuttavia la sua attenzione non si limita agli
individui della sua specie, ma va a tutto ciò che può
considerare individuale che sia animato o inanimato [...]
l'imitazione puramente animale si esercita per ripetizione
"membro a membro" di un atto o di una serie di atti e
con il piccolo d'uomo ( e anche l'uomo maturo) che si
eserciti all'imitazione di oggetti (animali, cose, fenomeni)
si trova senza membri identici atti all'imitazione [...]
quasi senza accorgersene, e seguendo un istinto che chiamo
"mimico" valica con tutta spontaneità questo limite
d'impossibilità e continua ad imitare senza corrispondenza
di membri identici [..] attribuendo ad alcune delle sue
membra il ruolo di altre e dei più diversi aspetti degli
oggetti considerati, realizzando, mediante nuove e del tutto
astratte azioni e serie di azioni un nuovo tipo d'imitazione
analogica che deve essere chiamata in un altro modo per il
suo nuovo carattere. Dall'"imitare" si passa al "mimare".
Dalla pura e semplice ripetizione si passa ad una funzione
che è nello stesso tempo interpretativa e creativa.
Interpretativa perché non potendo riprodurre traduce,
creativa perché la scelta degli atti espressivi non è
meccanicamente automatica ma è affidata alla natura
dell'individuo [...]. (Lettera al nipote Nicola,
quaderno XVI, 29/8/66)
Per Orazio Costa l'istinto mimico è
presente nel bambino in forma assolutamente spontanea: è il
"facciamo che si è", è quel desiderio di giocare ad essere
ciò che non si è, persone o oggetti: il bambino che fa
l'aeroplano, il bambino che fa il cavallo o quanto altro.
Tuttavia, questo stesso istinto mimico viene man mano
"atrofizzato" nel nostro modello educativo: il bambino
crescendo pian piano e divenendo prima ragazzo e poi uomo
dirada sempre di più gli atti di mimazione: convenzioni,
necessità sociali - ma non solo - operano in questo senso.
La nostra società non sembra apprezzare o utilizzare in
alcun modo l'istinto mimico: non ci aspettiamo che il nostro
commercialista o il nostro medico si metta a mimare un
aeroplano, o un fiore, o la pioggia mentre siamo nel suo
ufficio. Tuttavia altre culture riguardano l'atto mimico in
modo diverso: si pensi a tutte le culture sciamaniche, si
pensi, ai noti gruppi di guerrieri germanici (gli
uomini-orso, gli uomini-lupo già citati da Tacito) o alle
società guerriere Azteche. La nostra cultura sacrifica
l'istinto mimico, ma non tutte le culture lo sacrificano e
lo soffocano. Quel che più conta, secondo Orazio Costa, è
che l'istinto mimico è indispensabile per il lavoro
dell'attore
E' in questo modo che, penso io, nasce l'espressione,
il desiderio di dichiarare ciò che si sente e si prova
identificandosi con l'oggetto della propria attenzione,
rispecchiandolo e dandogli la personalità che attribuiremmo
alla forma umana così trasformata e lasciandola o facendola
manifestare attraverso gli atti convenienti ad essa. [...]
Così, superata l'ìmitazione [...] entriamo rapidamente
nel mondo privato dell'interpreto-creazione o della "mimazione"
(non uso la parola mimesi, più elegante per evitare
confusioni con concezioni filosofiche diverse). (Lettera
al nipote Nicola, quaderno XVI, 29/8/66)
In che modo l'istinto mimico consente di
"esprimersi"? Quando il nostro corpo, in un atto che è al
contempo normato all'oggetto di mimazione e fantasticamente
soggettivo, mima un certo oggetto assume certe tensioni,
certi ritmi che sono analoghi a quelli dell'oggetto mimato:
tutto il nostro corpo, ivi compreso l'apparato fonatorio:
L'albero, mimato e rivissuto, la nuvola, il fiore,
l'animale, la luna; l'acqua, la roccia, la pioggia, il mare
il vento (anche se invisibile) diventano esperienze
interiori concrete. Tanto che non solo possono manifestarsi
in atti e forme, quasi danze, individuando i ritmi propri di
ogni oggetto, ma possono produrre modificazioni
dell'apparato respiratorio e fonatorio (che assume del tutto
spontaneamente, in parallelo, le forme assunte esternamente
dagli arti) che diventa capace di emettere suoni
strettamente analoghi, o meglio, riferibili, alle forme
esteriormente assunte. (Lettera al nipote Nicola,
quaderno XVI, 29/8/66)
L'atto mimico quindi, se propriamente
eseguito, consente di produrre suoni e parole che sono
analoghe (riferibili, come dice Orazio) all'oggetto mimato.
Da qui la necessità di "risvegliare l'istinto mimico"; tale
risveglio lo si attua con un periodo di ricerca e di
mimazione degli oggetti naturali. Non c'è limite alcuno agli
oggetti che possono essere oggetto di mimazione: tutti noi
possiamo divertirci a mimare qualunque cosa. Tuttavia Orazio
stesso ha procurato di offrire delle guide per il risveglio
dell'istinto mimico: in un corso di mimica si comincia
in genere a mimare senza vocalizzare; inoltre si comincia a
mimare oggetti estremamente semplici, il più delle volte
oggetti "di aria" (fumo di fuoco, di sigaretta, nuvole)
mentre le immagini "di fuoco" sono le ultime ad essere
affrontate (fuoco di caminetto, fulmine, vulcano, sole).
Solo dopo diversi giorni di addestramento alla mimica
puramente fisica si consentirà all'allievo di "vocalizzare",
ovvero di spostare sull'apparato fonatorio la sua mimica.
Non esiste regola su quanto tempo debba durare il recupero
dell'istinto mimico: dipende in genere da persona a persona.
Esistono persone che, pur crescendo, riescono a mantenere
pressoché intatta la propria propensione a mimare. Secondo
Orazio Costa costoro sono gli attori (artisti) naturali. Per
essi il risveglio dell'istinto mimico non è propriamente
indispensabile e, il più delle volte, durante tale fase
didattica, costoro si limitano a divenire coscienti del
fatto che ciò che facevano naturalmente dipende da un
istinto presente allo stato più o meno latente in tutti gli
uomini.
L'APPLICAZIONE AI TESTI TEATRALI:
MIMEMI, COLPI DI SCENA E NODI DRAMMATICI
Solo quando l'allievo è
sufficientemente addestrato alla mimazione di oggetti
naturali si può procedere oltre, e mimare concetti astratti:
è importante tenere bene a mente la distinzione seguente:
non esistono mimiche astratti, ma esistono mimiche di
oggetti astratti, o concetti. Non esistono mimiche astratte
perché ogni mimica è un concreto atto fisico. E' vero che
gli attori addestrati al metodo mimico non hanno alcun
bisogno, in genere, di fare la mimica di ogni concetto o
oggetto: in quanto addestrati riescono a limitarsi a una
mimica "vocale o fonatoria"; il punto è che dietro ad essa,
se non altro come ricordo, esiste sempre un concreto atto
mimico puramente fisico. Avviene così che non esistono
mimiche astratte. Tuttavia esistono mimiche di oggetti
astratti e più in generale di concetti; e questa è una
fortuna, altrimenti la mimica sarebbe del tutto inutile per
il teatro. La mimazione di concetti è fondamentale per
applicare il metodo ai testi teatrali. In tale applicazione
un ruolo fondamentale è svolto dai colpi di scena e dai nodi
drammatici.
I colpi di scena -
o mimemi - di una certa scena teatrale sono ciò che il nome
suggerisce, ma solo in parte. Non si deve pensare ai colpi
di scena come delle modificazioni o delle novità sceniche
catastrofiche o eclatanti: un colpo di scena è un semplice
cambiamento. Un testo o una scena teatrale è un fluire di
parole e, dietro a tali parole, come fonte significante
delle stesse si collocano delle immagini mimiche: ogni
immagine mimica, nel suo venire dopo un'altra immagine
mimica è un colpo di scena. Le immagini mimiche che
si succedono lungo il testo costituiscono il divenire del
testo, costituiscono in realtà il suo essere nel tempo, e
quindi il cambiare. Ma come individuare i cambiamenti, i
colpi di scena, e in che modo attuare il passaggio da una
immagine mimica all'altra. Come già notava Orazio
"Cambia" [...]- dice il regista; spesso non sa dire
altro. Com'è che ciò può bastare?[...] Il "cambiare" (tono,
ritmo e volume, magari a caso) rende sempre un effetto di
verità: quello che spesso sono in grado di raggiungere anche
mediocri attori e pare "veri" sufficiente sinonimo di
"buoni". Il problema è "come cambiare", su quali mezzi
espressivi e con quale combinazione di essi. [quaderno XI,
30/4/'61]
Lo strumento per comprendere come si debba cambiare è ciò
che Orazio chiamava il "nodo drammatico". Ci sono molti modi
per parlare di nodi drammatici. Alcuni mimici enfatizzano
molto il nodo drammatico come momento di precipitazione
della vicenda scenica e il suo carattere "parossistico". Lo
stesso Orazio, talvolta, si esprimeva in questo modo. Noi
preferiamo invece utilizzare una metafora che Orazio
utilizzava altrettanto spesso e che ci pare più generale:
una scena può essere vista come un tessuto di immagini
mimiche (i colpi di scena, o mimemi della scena); queste
mimemi, intesi, nella nostra metafora come i fili di una
trama si annodano in un punto preciso del testo, che è esso
stesso un mimema, un'immagine mimica: il nodo drammatico. Il
nodo drammatico è ciò che "tiene su" la scena; esso è un
mimema tra gli altri, ma senza di esso l'intera scena perde
completamente senso; in un certo senso il nodo drammatico
è la scena, ma solo in un certo senso: esso la pervade e
la colora ovunque. L'esistenza stessa del nodo drammatico
marca la differenza tra la scrittura teatrale e ogni altro
tipo di scrittura.
Chi voglia
applicare la mimica ai testi teatrali dovrà quindi in primo
luogo addestrarsi a individuare i nodi drammatici.
Quindi dovrà addestrarsi ad estendere il nodo drammatico
all'intera scena di riferimento. Infine dovrà divenire
competente a sciogliere il nodo nei vari mimemi che in esso
si incrociano e si uniscono.
LA COSTRUZIONE DEL
PERSONAGGIO
Per chi sia ben
formato al metodo mimico il problema della "costruzione del
personaggio", croce dolente della gran parte dei cosiddetti
"metodi di recitazione", ha una soluzione
semplicissima, quasi banale. Per un mimico il personaggio
non è una costruzione psicologica fatta dall'interprete a
partire dal testo. Per un mimico il personaggio è una
costellazione di immagini mimiche. Come ha scritto Orazio:
Se c'è un poeta il personaggio è un
frutto d'immagini che gli sono proprie. Le sue parole devono
servire a far valere quell'immagine e tutte le sue varianze
nell'iride dello stile. Quella è la sua vita. Egli crea in
sé il suo spazio; il suo tempo, il suo ritmo; il suo colore
la sua musica e il suo passo e, se vi serve, la sua
psicologia. Ognuno la sua, proiezione di quella
costellazione d'immagini che egli è. Costellazione fissa
nello spazio astratto del testo, ma variabile nelle sue
ognor varie proiezioni - nei momenti di tempo che sono le
battute.
(Non capisco perché ho scritto così
disordinatamente. Volevo dire. Se il testo è di un poeta il
personaggio è il risultato della "personificazione
d'immagini" che lo riguardano. Questa personificazione è una
"immagine vivente" ma non in quanto vuole riprodurre un
uomo, ma in quanto è la vivificazione d'immagini. La densità
di queste immagini varia da stile a stile; talora queste
immagini sono immerse in un connettivo di parole che sono la
loro emanazione e devono servire a mantenere in vita, a
rappresentare la vita di quelle immagini e dell'immagine
vivificata che ne risulta...).
Per costruire il personaggio, dunque, l'attore che adopera
con coscienza il metodo mimico non farà altro che
individuare, ovvero costruire, quella serie di immagini
mimiche complesse che lo costituiscono.