Mimica, Mimesi e
Imitazione
MIMICA E IMITAZIONE
Se esiste una
distinzione che i mimci imparano a fare dopo pochi mesi di
addestramento, tale distinzione concerne i termini "mimica"
e "imitazione". Chi abbia assistito a una lezione di
propedeutica mimica non avrà mancato di osservare che
l'insegnante ribadisce spesso, e con forza, l'asserzione "LA
MIMICA NON E' IMITAZIONE!". Il rischio tuttavia è che la
distinzione non appaia sufficientemente chiara e che chi
ascolta senza essere già competente del metodo mimico abbia
un'impressione di dogmaticità o di confusione; perché, in
effetti, se uno sa già cos'è la mimica non ha alcun dubbio
che essa sia cosa assai diversa da ogni forma di imitazione,
ma se ancora non sa cosa sia la mimica, sentirsi dire "LA
MIMICA NON E' IMITAZIONE!" è di scarso aiuto: nel suo
carattere perentorio e negativo sembra un ordine, piuttosto
che un insegnamento.
I termini mimica e
imitazione, così come il più colto termine mimesi, derivano
dal greco "mimesis", termine utilizzato ampiamente da
Platone e da Aristotele e da allora mai scomparso dalla
storia dell'estetica e del pensiero in generale. Il termine
mimesi ha un significato filosofico tecnico, spesso
dipendente dal contesto, ovvero dall'autore che lo utilizza.
Il termine imitazione ha un significato tecnico di tipo
estetico (l'arte come imitazione) ma è anche una parola
utilizzata correntemente nel linguaggio di tutti i giorni
("che bello, sembra un abito di Valentino!" - "No, non è
Valentino, è un'imitazione"). Il termine mimica ha un
utilizzo corrente molto più ristretto e viene in genere
adoperato come termine tecnico nella critica teatrale e
cinematografica per esprimere gli atti espressivi a
carattere motorio (mimica corporea, mimica facciale
dell'attore). Tuttavia, quando noi parliamo di "mimica" non
ci riferiamo mai all'uso corrente del termine ma a una
pratica, a un atto preciso, l'atto mimico. Il docente di
mimica, nello specificare cos'è l'atto mimico ribadisce
spesso, come ho accennato, al fatto che l'atto mimico è
molto diverso dall'atto imitativo: "mimare" e "imitare"
Ma cosa significa
questo? Per comprendere la distinzione tra mimica e
imitazione si consideri che entrambe le parole descrivono
una relazione a tre termini:
A imita l'oggetto B producendo C
A mima l'oggetto B producendo C
Entrambi gli atti hanno a che vedere
con la produzione di un oggetto C, produzione operata da un
soggetto A a partire da un oggetto B. Tuttavia secondo i
mimici le due espressioni descrivono qualcosa di
completamente diverse. Mentre nel caso dell'imitazione
l'oggetto C è prodotto scientemente al fine di rassomigliare
all'oggetto B, in modo pressoché indipendente dal soggetto
A, nel caso della mimica, o mimazione, l'oggetto prodotto,
C, dipende fortemente dal soggetto A.
Questo, a ben
vedere, è del tutto ragionevole. Quando usiamo il termine
imitazione, nella lingua italiana, o anche in quella inglese
ci riferiamo sempre a un atto in cui l'oggetto C che è
imitazione di un altro oggetto B tende a rassomigliare in
modo pressoché indistinguibile all'oggetto originale: le
borsette e i capi di moda piratati sono imitazioni, le
banconote false sono imitazioni. Tanto nel caso dell'abito
di Valentino copiato e "imitato" quanto nel caso delle
banconote falsificate, questi oggetti, per essere delle
buone imitazioni devono essere riproduzioni fedelissime
degli oggetti di partenza: il soggetto che opera
l'imitazione, in un certo senso non pone nulla di proprio.
Certamente, esistono i bravi falsari e i bravi imitatori, ma
la loro bravura consiste proprio nell'annullare il proprio
estro personale e la propria capacità creativa per produrre
un oggetto indistinguibile dall'originale.
L'atto mimico, al
contrario, è sempre un atto di soggettivazione, un atto cioè
in cui il soggetto, le sue inclinazioni, le sue predilezioni
o addirittura le sue abitudini entrano con un ruolo
fondamentale. Se due persone, A e A' imitano entrambe
l'oggetto B otterranno due oggetti, C e C' molto simili fra
sé e molto simili all'originale; viceversa, se le stesse
persone mimano l'oggetto B otterranno due oggetti, D e D'
che probabilmente saranno molto diversi.
Insomma,
semplificando un po' le cose possiamo dire che l'imitazione
è una funzione che, a partire da oggetti qualsivoglia
porta in oggetti determinati (determinati nel senso di
essere quasi indistinguibili). La mimazione invece no.
L'oggetto che viene mimato non determina mai il risultato
della mimazione che dipende sempre e comunque da colui che
compie l'atto mimico. Quando Orazio Costa chiama "istinto
mimico" quel complesso di istinti che gran parte della
psicologia moderna ci ha abituati a chiamare "istinto
imitativo" egli ha completamente ragione a operare questa
sostituzione terminologica. Quando un bambino fa finta di
essere un aeroplano, quando egli fa finta di essere un
cavallo ha senso dire che egli "imita" il cavallo, o
l'aeroplano? Certamente no: il bambino non ha alcuna
cosciente accuratezza nel riprodurre le parti
dell'aeroplano, le sue strutture metalliche la carlinga o il
carrello; il più delle volte egli si limita a distendere le
braccia, e ad assumere un'aria leggera e vagamente
aereodinamica. E in effetti pensiamo alla differenza tra il
nostro atteggiamento nei confronti di una imitazione di un
abito di Valentino e il nostro atteggiamento nei confronti
di un bambino che gioca ad essere un aeroplano: vedendo
un'imitazione di un abito di Valentino possiamo bene essere
tratti in inganno e supporre, poniamo, che tale abito sia in
effetti un originale disegnato e realizzato dal grande
stilista; viceversa a nessuna persona sana di mente verrebbe
in mente di pensare che il bambino che gioca a fare
l'aeroplano sia in effetti un aeroplano.
L'imitazione,
talvolta. può essere ingannevole, ma la mimica non lo è mai.
MIMICA O MIMESI?
In chiusura di queste
poche parole sui termini mimica e imitazione, vale la pena
di accennare al fatto che una certa ambiguità è stata
introdotta negli ultimi 10-15 anni da alcuni allievi di
Orazio Costa, in particolare da quelli dell'area romana.
Alcuni hanno cominciato a sostituire ai termini "mimica",
"metodo mimico" e "atto mimico" i termini "mimesi", "metodo
mimesico" e "atto mimesico".
Le ragione in
genere addotte per giustificare questa novità terminologica
avevano a che fare con la didattica del metodo, e con
difficoltà più volte notate nello spiegare cos'è la mimica.
Gli allievi romani infatti osservavano, giustamente: "quando
parliamo di mimica la gente pensa al mimo, o alla mimica
facciale degli attori; parlando invece di mimesi la gente
capisce subito che ci riferiamo a qualcosa di diverso". Vi
sono delle motivazioni condivisibili alla base di questa
scelta.
Tuttavia questa
scelta non è soddisfacente. Lo stesso Orazio Costa ebbe modo
più volte di esprimere il suo disagio: "non mi piace il
fatto che la mia vecchia mimica sia rinominata mimesi,
mimica è un nome a cui sono molto affezionato". Il problema
che ci ha spinti a non accettare la terminologia romana non
è tuttavia il disagio di Orazio - pace alla sua anima - che
come tutti gli uomini poteva anche sbagliare. Il problema è
che l'adozione del termine "mimesi" a sostituzione del
termine mimica da un lato anziché diminuire le ambiguità le
aumenta, dall'altro comporta rischi di fraintendimento molto
più gravi.
Si consideri, in
primo luogo che il termine mimesi è un termine filosofico
fondamentale, con una sua precisa gamma di significati. A
prescindere dalla rilevanza del termine nel periodo
preplatonico, supposto o postulata da Havelock, non c'è
dubbio che il termine sia utilizzato da Platone; è vero che
spesso il termine viene tradotto come "imitazione"; tuttavia
non sempre e non in tutte le occorrenze questo avviene ed
esiste una poderosa tradizione neoplatonica che parla di
"Mimesi". C'è infine Aristotele e la Poetica, e, c'è tutta
la storia dell'estetica che assegna al termine mimesi un
ruolo fondamentale e una gamma mirabile di significati.
Insomma, se esiste un termine nella tradizione artistica che
risulta tragicamente "inflazionato" quel termine è proprio
il termine "mimesi"; le ambiguità connesse con il termine
mimica sono niente, al confronto. Ovvero il termine mimesi
non risolve il problema segnalato, anzi, lo aggrava.
In secondo luogo,
al di là delle numerose accezioni con cui il termine mimesi
viene utilizzato, tale termine viene spesso usato per
indicare la produzione artistica, con accezioni e valori
diversi; avviene così che una tra le principali convinzioni
di Orazio Costa, ovvero il fatto che l'intera esperienza
artistica dell'uomo può essere vista come il risultato
dell'istinto mimico addestrato, finisce per banalizzarsi
nella tradizionale idea che l'arte sia mimesi. Gli aspetti
rivoluzionari del metodo, le straordinarie novità connesse
con lo stesso sembrano scomparire nel nulla a causa della
ridefinizione linguistica.
Infine il temine
mimica ha qualcosa che il termine mimesi non ha: il
riferimento costante e irrinunciabile alla fisicità e al
corpo: uno tra gli aspetti rivoluzionari del metodo sta
proprio nella crucialità e nella centralità del corpo come
veicolo e attore della mimica. Non c'è mimica senza corpo:
una mimica astratta, dietro la quale non vi sia un corpo
agente, almeno come ricordo, è un'assurdità, una bestemmia
volgare, una barzelletta che non fa ridere. Ciò che rende il
pensiero di Orazio Costa rivoluzionario nei confronti della
nostra tradizione Cartesiana è proprio la centralità, il
valore, l'importanza della fisicità: è il corpo, non lo
spirito che produce l'arte. Questi aspetti rivoluzionari
sono bene espressi dal termine "metodo mimico" e "mimica";
ma scompaiono completamente nella tradizione Aristotelica e
filosofica dei termini "mimesi" e "metodo mimesico".
Insomma, Orazio
Costa era un uomo e come tutti gli uomini a volte si
sbagliava. Ma non è questo il caso.