Ramelli "Anni delle Spranghe", Processo
I Testimoni: Fummo picchiati scelti a caso nel mucchio
MILANO. (G. Pes.). Gente comune. Gente passata per caso
nel posto sbagliato e per dir di più, il giorno meno adatto. E'
così che le vittime ricordano gli "anni delle spranghe" a Milano.
Quegli anni Settanta in cui hanno inciampato, su cui sono caduti riportando
anche lesioni permanenti.
Simpatizzanti di destra? Loro dicono
di no, di non essersi mai occupati di politica: passavano per caso e nulla
di più. Fu così anche quel 31 marzo del 1976 quando subirono
l'assalto al bar Porto di Classe, il locale indicato quale ritrovo preferito
dei "neri". Ed è parlando di errori e di sfortuna che quei protagonisti,
oggi testimoni al processo Ramelli, hanno raccontato la loro disavventura.
Marina Mirelli e Sergio Ricotti, all'epoca fidanzati, s'erano dati appuntamento
proprio da quelle parti. Erano sul marciapiede di fronte al locale. Non
fecero in tempo ad accorgersi di nulla: lei ricorda un fortissimo colpo
alla schiena, un'affannosa corsa in cerca di riparo. Si rifugiò
in un negozietto e poi venne ricoverata al Policlinico: guarì in
40 giorni. Lui, l'attuale marito, se la cavò con una ferita al capo:
dieci punti.
Davanti al bar c'era anche un gruppo d'amici. Bruno Carpi,
Giovanni Maida e Fabio Ghilardi stavano chiacchierando. "Ero di spalle
e all'improvviso venni colpito alla testa - rammenta Carpi - Caddi, persi
i sensi e quando riaprii gli occhi era tutto finito. Fui portato in ospedale".
Il referto parla di trauma cranico e di un'operazione: impiegò tre
mesi a guarire.
Ghilardi mancava dal bar da circa
un mese e quando tornò, proprio quel giorno, gli "fecero la festa".
"Ricordo un colpo in testa - spiega - e poi più nulla: mi svegliai
all'ospedale convinto di essere rimasto coinvolto in un incidente stradale.
Avevo riportato lo sfondamento della scatola cranica, subii diverse operazioni
e da allora sono soggetto a crisi epilettiche".
Poi c'è Maida. Lui non si è
presentato. Tra tutti è quello nelle condizioni peggiori: vive su
una sedia a rotelle.
Fabrizio Rossi invece passeggiava.
Vista la confusione cominciò a scappare. Venne inseguito. Si rifugiò
nel gabinetto di un distributore di benzina. "Ma non servì a nulla
- racconta - mi raggiunsero anche lì. Distrussero tutto e mi colpirono
più volte ".
Questo quanto successe quel fatidico
giorno, quando trenta, quaranta o forse cento persone (erano militanti
di Avanguardia Operaia e dei comitati antifascisti) assaltarono il bar.
Ma anche prima e anche dopo la guerriglia non conobbe tregua. Gente fermata
lungo le strade e derubata dei documenti. Altri picchiati senza un motivo,
rasentando il paradosso.
"Stavo andando in Comune per sposarmi
- ricorda senza troppo rancore Giuseppe Tinti -. All'uscita dalla metropolitana
incrociai alcuni ragazzi. Uno disse "è un fascista" e così
mi fecero gli auguri mandandomi all'ospedale: rimasi ingessato per 40 giorni.
Avevo le cervicali lese". L'ennesimo orrore.
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CDRC Coro drammatico Renato Condoleo
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