Archivio Sergio Ramelli

Archivio Ramelli - articoli di giornale

L'Avvenire, 25/3/1987

Ecco il racconto...

torna agli articoli sul processo
torna agli articoli de L'Avvenire

 

 

MILANO/PROCESSO
Ecco il racconto, così sprangarono Ramelli

MILANO. "No. Oggi non farei più mente contro un mio simile ma in quel momento, a mio giudizio, era così ed ora e difficile discutere le scelte di dodici anni fa". Sono passati pochi minuti ma ormai il ghiaccio è l'otto. Ci doveva esser un "primo", quasi un volontario, disposto ad affrontare i giudici insieme al suo passato. E così Luigi Montinari lascia il banco degli imputati e raggiunge il semicerchio dell'aula pronto a rispondere alle domande, pronto a raccontarsi per quello che si sentiva ieri e che si sente oggi.
    Il processo per la morte di Sergio Ramelli, il simpatizzante di destra aggredito a Milano il 13 marzo del 1975 dal servizio d'ordine di medicina, una cellula di Avanguardia operaia, entra così nel vivo. Alla sbarra, oltre agli imputati, ci sono anche gli "anni delle spranghe" - segnati dal perenne scontro tra l'estrema sinistra, Ao, e la destra.
    Cosa ricorda oggi di quell'aggressione l'ex studente di  medicina, ex militante di 'Avanguardia operaia'? Ricorda ciò che non è riuscito a dimenticare nonostante lo sforzo: proprio tutto, anche quel senso di vergogna, di smarrimento, di spavento e preoccupazione che lo assalì nel momento in cui scoprì che Sergio Ramelli non aveva ricevuto la solita lezione ma stava per morire. "Questo non era assolutamente ciò che ci aspettavamo - racconta Montinari senza riuscire a celare l'emozione -. Il nostro compito era quello di determinare solo una prognosi di qualche giorno e non la morte di Sergio Ramelli: è la verità".
    Ed ecco che per l'ennesima volta quell'aggressione viene ricordata, rivissuta e anche sofferta. Quasi come il giorno dopo, al momento della scoperta del risvolto drammatico".
    Ad informarci dell'azione fu Roberto Grassi il responsabile dei servizi d'ordine di Città Studi - ricorda con difficoltà Montinari che oggi ha 40 anni -. Ci fermò forse una settimana prima per informarci che il giorno 13 dovevamo essere disponibili: non disse altro. Quella mattina però arrivai tardi all'appuntamento, nella solita auletta di fisica e biologia. Trovai solo Grassi che mi diede una chiave inglese. No, forse un tondino. Presi l'oggetto, lo misi tra il paltò e il pullover e raggiunsi gli altri e qualcuno mi spiegò cosa fare. E così io, Franco Castelli e Claudio Colosio "coprimmo" gli altri controllando un angolo di via Paladini. Sul lato opposto della strada si appostarono Claudio Scazza e Gianmaria Costantino. In via Amadeo si infilarono Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo. Il nostro compito era di proteggerli".
"Ad un certo punto li vedemmo uscire dalla via di corsa e capimmo che era il momento di andarsene. Ci ritrovammo poi nell'auletta. Restituii la chiave inglese. Tornai a casa e non parlai con nessuno. Il giorno dopo, quando aprii il giornale in cerca del trafiletto su un giovane neofascista colpito scoprii che invece quel ragazzo era in coma. Corsi all'università, trovai Grassi e gli proposi di sciogliere la squadra di medicina: ero spaventato, preoccupato e Roberto mi disse di aspettare, mi disse che non sarebbe successo niente. Poi non so più".
    Lo sforzo di ripercorrere quegli attimi poi diventati anni carichi di rimorso mette in difficoltà Montanari che fino a questo momento ha cercato di non farsi sopraffare dall'emozione.
    "Non esiste una risposta precisa. Ramelli per noi era un ragazzo del Fronte della Gioventù e in quel periodo rappresentava, o meglio, era un avversario politico con una connotazione precisa: per noi era quello contro cui ci battevamo, la destra, i neofascisti portatori di interessi politici ed economici di una classe contro la quale avevamo molto da ridire per il suo discorso antipopolare".
    "Dopo la morte di Ramelli non so nemmeno io cosa ho fatto - conclude Montinari - "Ho un vuoto di memoria, ma di certo lasciai il servizio d'ordine e persi di vista tutti". Oggi è di nuovo con loro, con i suoi ex-compagni, ma ciò che più gli interessa sono la famiglia e i suoi mutuati e il perdono di mamma Ramelli. Prende la valigetta, si accende una sigaretta e, insieme alla moglie che lo aspetta fuori dall'aula, si avvia verso l'ambulatorio. Un altro passo è stato fatto.

 Gabriella Presenti


  Queste pagine sono in perenne costruzione. Chiunque voglia contattarci per proporci consigli, o aiuto, o anche solo per segnalarci del materiale non presente in queste pagine può farlo scrivendo a direzione@cdrc.it

 CDRC Coro drammatico Renato Condoleo
  vai alla HOME PAGE