Archivio Ramelli - articoli di giornale L'Avvenire, 31/3/1987 Dopo Ramelli, la carriera
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Al processo di Milano per l'uccisione del simpatizzante di destra di scena Claudio Colosio.
Ha definito l'agguato un "disgraziato episodio"
Dopo Ramelli, la carriera
MILANO - Sfilata la base, almeno in parte, entra in scena il politico, anzi il "prezzemolo" per il suo noto vizio d'essere dappertutto, di non mancare mai a manifestazioni, incontri e riunioni. E' Claudio Colosio, il quarto medico-imputato ascoltato dai giudici della Corte d'assise di Milano che si sta occupando di alcuni dei protagonisti degli "anni delle spranghe".
Tranquillo, sicuro di sé, imperturbabile, racconta con lucidità il suo ingresso a Città Studi, la sua militanza prima nei Cub (Comitati unitari di base) e poi in Avanguardia operaia, dove coprirà un ruolo di quadro intermedio. Racconta anche di quel
"disgraziato episodio" - l'agguato che portò alla morte di Sergio Ramelli simpatizzante di destra - e di quell'"esecrabile assalto" al bar l'orto di Classe. Al primo fatto, quella mattina del 13 marzo 1975, partecipò col compito di
fare il palo. Con lui c'erano altri sette componenti del servizio d'ordine di medicina tra cui anche Giuseppe Ferrari-Bravo (uno degli esecutori materiali dell'omicidio) che proprio in seguito a questo "disgraziato episodio" tentò il suicidio. Al secondo, quel 31 marzo 1976, fece solo il curioso, spiò la quarantina di persone che con molotov, spranghe e chiavi inglesi fece irruzione nel bar punto di riferimento dei nemici "neri".
La prima volta non vide né sentì nulla: forse solo il rumore di un oggetto metallico che cadde. Era convinto che l'azione dovesse servire "per dare una passata ad un fascista". Ma chi diede l'ordine di agire? "Visto che avrebbe dovuto essere una cosa da poco - racconta Colosio - penso l'abbia deciso proprio Roberto Grassi (il responsabile dei servizi d'ordine di Città Studi che in seguito si toglierà la vita n.d.r.) anche se poi, data la tragica conclusione, penso abbia dovuto renderne conto a chi stava sopra di lui. Sicuramente Grassi rimase scosso prima di tutto perché conosceva benissimo Sergio Ramelli, erano amici d'infanzia e per di più vicini di casa. Forse fu proprio per questo che dopo quel disgraziato episodio diminuì il suo impegno fino a passare le consegne a Giovanni Di Domenico".
L'"episodio" pare quindi sconvolgere tutto ma Colosio sembra essere il meno turbato.
"Impallidì" nel ricevere la notizia e basta. "Non provai panico ma solo sconcerto - ricorda oggi l'imputato - e decisi di cambiare la mia militanza lasciando il servizio d'ordine per entrare nei 'quadri' occupandomi, tra l'altro, di tenere i contatti tra via Vetere (sede di Avanguardia operaia) e la
Base".
E' a questo punto, pochi mesi dopo la morte di Ramelli, che Colosio Inizio a lavorare per il "Quotidiano dei lavoratori", che s'interessò della commissione scuola e visse direttamente la crisi politica di Avanguardia operaia da cui poi, nel '77, nacque Democrazia proletaria, partito in cui confluirono anche altre forze.
Colosio, noto come "prezzemolo", si occupo di tutto: dalla predisposizione dei manifesti e dei volantini, dall'organizzazione di riunioni e comizi, arrivò a preparare anche la compagna elettorale. E poi un giorno, per caso, gli capitò di ascoltare strani discorsi. Trovò gente che si dava appuntamento in via dell'Ortica. da li uscì la decisione di assalire il bar Porto di Classe.
"Quella sì fu un'iniziativa importante - racconta Colosio - e come tale non poté che essere arrivata dall'alto: nel caso specifico dal comitato cittadino di cui all'epoca il responsabile era Saverio Ferrari (oggi componente della segreteria nazionale di Democrazia proletaria n.d.r.)". L'imputato,
ex-quadro, inizia così a ricostruire la composizione, la struttura di Avanguardia operaia. "In verticale - spiega, si partiva dalle cellule per arrivare al direttivo provinciale o nazionale cui spettava definire la "linea politica" e quindi anche le campagne antifasciste e
il comportamento da tenere in piazza. In orizzontale si partiva dagli studenti e dagli operai per arrivare alle commissioni di settore che avevano il compito dì 'attuare la linea politica". I primi venivano eletti e scelti tra i più capaci, i più in vista e quelli con più tempo a disposizione. Gli altri venivano cooptati: lo studente più bravo andava in commissione a portare i problemi".
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