|
Archivio Ramelli - articoli di giornale Il Candido, 15 (maggio 1975) Ramelli, un morto che fa paura torna agli articoli de Il Candido |
Milano - E' nato un
nuovo reato: il "funerale sedizioso"
Ramelli, un morto che fa paura
A ridosso dell'obitorio, uno
schieramento incredibile
di polizia in perfetto assetto da guerriglia: caschi con la
visiera
abbassata, manganelli, scudi di plastica, fucili. I funzionari della
questura
milanese hanno un ordine ben preciso: questo funerale non s'ha da fare.
Non crediamo di peccare di ottimismo se diciamo che tra loro
c'è
chi, in quel momento, si vergogna. Non dev'essere gradevole, minacciare
di arresto uomini e donne, giovani e adolescenti che escono dalla
camera
ardente con il volto rigato dalle lacrime.
La cassa è ancora
aperta, Sergio Ramelli
è vegliato sino all'ultimo dai parenti e dai coetanei del
Fronte
e del Fuan. Ha la testa bendata sino alle sopracciglia, il volto tirato
e sofferto: i 49 giorni di atroce agonia hanno lasciato il segno.
Qualcuno
dice che è irriconoscibile.
La stampa del regime ha fatto
l'impossibile per
evitare un cordoglio di massa attorno a questo ragazzo. Notizie
distorte,
contraddittorie, orari sballati, dichiarazioni inventate di
sana
pianta ed attribuite ai genitori: un guazzabuglio artificiosamente
creato
per tenere la gente lontana dalla mesta cerimonia. I funzionari di PS
hanno
i nervi tesi: fermano il consigliere comunale missino Staiti, fermano
altrisconosciuti,
spintonano bruscamente e minacciano a sua volta di arresto un prete che
osa protestare. Qualcuno cerca l'incidente a tutti i costi per
trasformare
questo pellegrinaggio in una rissa. La sporca speculazione elettorale
non
si ferma neppure davanti a un ragazzo diciannovenne assassinato nel
modo
barbaro che sappiamo. In questa Italia culla del cattolicesimo, guidata
da trent'anni da un partito che ha fatto della croce un volgare simbolo
di potere si discriminano anche i morti. C'é chi ha diritto
al corteo
in piazza del Duomo e chi non ha neppure diritto a un normale
funerale
dall'obitorio alla chiesa.
"E' uno schifo", protesta
qualcuno "cose del genere
non sono avvenute neppure per Jan Palak a Praga"; "Non è
questa
l'Italia per la quale ho combattuto", gli fa eco un religioso che
esibisce
il fazzoletto azzurro dei Volontari della Libertà "Questa
non è
un'Italia né libera né democratica".
Poiché la gente
continua ad arrivare, poiché i marciapiedi nereggiano ormai
di folla,
c'é un tentativo di far sparire anzitempo la salma del
ragazzo.
Dovrebbe lasciare la camera ardente alle 15.15, ma si vogliono
stringere
i tempi, fare uscire alla chetichella questo morto scomodo. Vi si
oppongono,
indignati, il fratello e gli zii, invitati a firmare il visto in
assenza
dei genitori. Nessuno firma.
Gli animi, attorno all'obitorio,
si scaldano. Un
fotografo si permette di rivolgere l'obiettivo verso alcuni poliziotti:
gli saltano addosso, e salva a stento macchina e rullino. In compenso,
dall'adiacente università c'è chi con il volto
coperto da
un fazzoletto rosso mitraglia indisturbato con teleobbiettivi la gente
che sosta sul piazzale. Serviranno ad ingrossare gli schedari dei
guerriglieri
comunisti e a organizzare nuove spedizioni punitive del tipo di quella
che ha assassinato Sergio Ramelli. C'è chi vorrebbe reagire,
visto
che la polizia non fa una piega, ma l'autocontrollo prevale. Non
bisogna
cadere nel gioco della provocazione, non si deve offrire il destro agli
avvoltoi della speculazione. "Per noi il funerale è un
corteo non
autorizzato", ribadisce il funzionario della questura "e questa
è
un'adunata sediziosa. O la sciogliete oppure siamo costretti a
caricare.
Abbiamo degli ordini precisi, e dobbiamo farli rispettare, è
inutile
che vi mettiate a discutere con noi". Senatori, deputati, dirigenti
federali
e giovanili fanno opera di moderazione, tentano di spegnere la
legittima,
comune esasperazione. Almeno per rispetto ai genitori di Sergio, non si
può trasformare l'obitorio in un campo di battaglia.
Così la gente si
avvia alla spicciolata
verso la chiesa distante circa un chilometro. Le decine e decine di
corone,
vengono trasportate da gruppi di giovani. I negozi, lungo il percorso,
hanno le saracinesche abbassate in segno di lutto. I proprietari, i
commessi,
sostano sui marciapiedi. Attendono, illusi, il passaggio del corteo
funebre.
Hanno dei fiori in mano, ma non potranno gettarli sulla bara.
Volenterosi
spiegano cosa sarebbe accaduto se ci si fosse permessi di fare un
funerale
"non autorizzato" e il numero degli increduli sovrasta quello degli
indignati.
Quasi
tutti, allora, si trasferiscono
sul sagrato della chiesa, dove Sergio Ramelli arriverà a
bordo di
un'auto delle pompe funebri. Tre quarti del vasto sagrato sono occupati
da giovani e giovanissimi, da ragazzine, sono facce pulite
assolutamente
nuove, estranee alla politica: i coetanei di un intero quartiere si
sono
radunati per porgergli l'estremo saluto. Ci sono ex-compagni di scuola
dello stesso Molinari, amici del bar, compagni della squadra di calcio
in cui Sergio giocava con buon profitto. Sul verde delle aiuole, sotto
un sole già estivo, tutte quelle magliette colorate, quei
jeans
suggerirebbero l'idea di un festival giovanile. Invece è
l'epilogo
dell'ultimo viaggio milanese di Sergio Ramelli.
Al passaggio della bara, portata
a braccio negli
ultimi metri da Almirante e Servello, qualcuno applaude, qualcuno getta
dei fiori, qualcuno piange. Le navate della chiesa sono gremite. Sui
muri
esterni, allineate, le corone di fiori, a decine. C'è anche
quella
del presidente della Repubblica. In mattinata un fiorista l'aveva
scaricata
in via Amadeo 40, sotto la casa di Sergio. Era partita per ultima,
perché
invano si erano attesi i tradizionali corazzieri o i meno
tradizionali
vigili urbani. Visto che non arrivava nessuno, due ragazzi avevano
provveduto
al trasporto.
Dopo la
funzione religiosa, dopo la
breve orazione funebre di Almirante, l'ultimissimo viaggio per Lodi,
dove
un centinaio di ragazzi si unisce altre centinaia di giovani
provenienti
da Milano. Una delle tante corone, finisce aventi metri dalla tomba di
Sergio, a ridosso di una croce senza fotografia e pressoché
anonima.
Sotto, riposano le spoglie di Giancarlo Esposti, un giovane che, in
buona
fede, aveva scelto una strada sbagliata e quando se ne accorse era
ormai
troppo tardi.
Leo Siegel
Queste pagine sono in perenne costruzione. Chiunque voglia contattarci per proporci consigli, o aiuto, o anche solo per segnalarci del materiale non presente in queste pagine può farlo scrivendo a direzione@cdrc.it