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Archivio Ramelli - articoli di giornale Il Candido, 15 (maggio 1975) "Povero il mio teston d'oro" torna agli articoli de Il Candido |
Parla
la mamma di Sergio Ramelli
"Povero
il mio teston d'oro"
E' una tiepida serata della
primavera milanese. In via
Amadeo, all'Ortica, si respira un profumo di campagna. Siamo in una
zona
di estrema periferia: poche centinaia di metri più in
là,
il ponte della ferrovia, quindi la strada per l'idroscalo. Sotto il
numero
civico 40, un volantino incollato al muro, una bandiera tricolore
imbrunata,
alcuni mazzi di fiori, due giovani sull'attenti che montano
la guardia.
Più scostati, altri giovani che parlano tra loro. I rari
passanti
si fermano danno un'occhiata e se ne vanno senza commenti. Solo alcuni
giovani, dopo aver letto il volantino, fanno delle domande e scrollano
la testa visibilmente scossi. Ragazzi che non fanno politica,
evidentemente,
ragazzi che non riescono a capire come sia possibile ammazzare a
sprangate
un coetaneo colpevole unicamente di pensarla a modo suo. Sul
marciapiede
di fronte, una "125" blu della Polizia controlla la situazione.
C'è
il pericolo che da un minuto all'atro arrivino i "cinesi" e profanino a
bastonate anche quei pochi metri di strada divenuta porto franco del
dolore.
Ad un
tratto, dietro il portone di
vedro, si accende la luce delle scale e compare una figura di donna
minuta,
con gli occhiali. Fa scattare il dispositivo che apre il cancello,
esce,
e si ferma tra noi. E' la mamma di Sergio. Ha il volto scavato dal
dolore,
due occhiaie impressionanti, le labbra che tremano. Ci guarda, stringe
qualche mano, poi scoppia in lacrime. Un ragazzo le passa un braccio
atorno
alle spalle e la stringe a sé. La donna si toglie gli
occhiali e
con il fazzoletto si asciuga le lacrime. E' un gesto meccanico, che si
ripete dall'ormai lontano 13 marzo, quando il suo, il nostro Sergio
stramazzò
su quello stesso marciapiede sotto la furia de ibarbari. Sino al girono
prima, la confortava, in questo dolore, una briciliola di speranza. Da
poche ore la dura realtà, il miracolo atteso e sospirato,
non è
venuto.
"Grazie,
ragazzi, grazie per tutto
quello che state facendo - mormora quasi balbettando - Ma state
attenti,
adesso ho paura anche per voi... Datemi una copia di quel volantino, lo
voglio tenere di ricordo..." Gesù,
ma perché
l'hanno fatto?... Adesso il mio Sergio non c'è
più, non ci
sarà mai più..."
Un ragazzo
tenta di confortarla, le
dice che per noi, per tutti noi Sergio non è morto, che
continuerà
a vivere nei nostri cuori, cha da domani ci batteremo civilmente anche
per lui, per quegli Ideali che lui stesso nutriva e difendeva con
entusiasmo
e coraggio.
"Sì, sì, però
non lo rivedrò mai più" - replica la
madre riprendendo a piangere e pronunciando parole strozzate dal
singhiozzo
- Povero il mio "teston d'or", era buono, non aveva mai fatto del male
a nessuno. Andava in giro senza niente in mano, quando l'hanno colpito
aveva una mano in tasca e con l'altra teneva i libri di scuola... Ecco,
i libri adesso dovrò buttarli via, dovrò buttare
via anche
tutti i suoi vestiti, non servono più... Anche il suo
pigiama, è
ancora sul letto, sotto il cuscino... Un lettto che lo ha aspettato
invano
per settimane e settimane... La bambina più piccola qualche
minuto
fa mi aveva chiesto se poteva dormire lei, in quel lettino. Povera
piccola
anche lei... Domattina doveva andare in gita con la scuola, ma oggi la
maestra mi ha telefonato e mi ha chiesto se potevo tenerla a casa, mi
ha
detto che dopo la morte di Sergio sarebbe stato meglio così.
Un ragazzo
si allontana, ha anche
lui le lacrime agli occhi, eppure lo conoscevo come un "duro", come uno
di quelli che sono sempre stati in prima fila. Si strofina il naso con
una mano, fa qualche passo, poi torna con gli occhi lucidi. Qualche
macchina
si ferma, ne scendono altri giovani del Fronte e del Fuan, portano
fiori
e parole di incoraggiamento. Si stabiliscono turni di guardia, si
andrà
avanti per tutta la notte e per tutti i giorni che verranno sino
all'ora
del funerale.
Parla anche
di questo la povera donna:
"Mi raccomando - sono le sue parole - state bravi, state calmi, venite
solo con una vostra corona, non portate altro... Già, il
funerale,
mio Dio, ma perchè l'hanno fatto? ... Io lo capivo che stava
morendo,
ero accanto al suo letto e Sergio mi stringeva disperatamente
la
mano, però la sua mano era sempre più debole,
sempre più
debole, alla fine sembrava solo una carezza... L'ho rivisto sul marmo
gelido
dell'obitorio, con quel grosso buco nella testa.... Che roba, che roba."
L'obitorio
dista qualche centinaio
di metri dall'abitazione di Ramelli, questa povera donna c'è
andata
in compagnia del marito prima di cena, prima di una cena che non
c'è
stata perchè il dolore blocca la gola e lo stomaco. Quando
è
tornata a casa era stravolta, pareva sull'orlo di un collasso. Poi si
è
ripresa.
Quei
ragazzi sotto il portone le fanno
piacere. La fanno sentire meno sola. Si è sempre rifiutata
di ricevere
giornalisti e fotografi. Non ha mai voluto parlare con nessuno, ma ora
con quei giovani si sfoga, si confessa. Capisce che potrebbero essere
tutti
figli suoi, come lo era Sergio. Dal citofono, la bambina la
chiama.
"Amore, salgo subito..." sono le sue ultime parole. Un cenno di saluto,
e scompare nella penombra delle scale.
Arrivano
altri ragazzi, altre ragazze,
si avvicina la mezzanotte, ma il marciapiede anziché
svuotarsi,
si riempie sempre più. LE finestre di casa Ramelli si
spegneranno
a notte fonda, ma qualcuno non dormirà. Sotto, a turni, si
veglia
per tutta la notte. All'alba, arrivano i cambi. Arrivano nuovi fiori,
nuovi
curiosi si fermano.Qualche pendolare, qualche studente, qualche
massaia.
Il sole, il volantino affisso al muro. I negozi adiacenti lavorano con
le saracinesche mezze abbassate. Sergio, dall'alto, capirà
di non
essere stato dimenticato. I suoi amici gli saranno sempre vicini.
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