Archivio Ramelli - articoli di giornale Il Tempo, 25/3/1987 Processo Ramelli: "Non volevamo..." |
Ieri in Corte d'Assise a Milano la lunga deposizione
di Luigi Montinari, oggi dentista quarantenne
Processo Ramelli: "Non volevamo ucciderlo", dichiara
un imputato
Rievocato il clima di odio che costò la vita al
giovane di destra
Milano, 24 marzo
Sono passati dodici anni, ma sembra un secolo. Davanti
alla corte d'Assise il primo degli imputati chiamati a rispondere di concorso
nell'assassinio di Sergio Ramelli, il ragazzo del Fronte della Gioventù
al quale fu sfondata la testa a colpi di sbarre metalliche, ha assunto
un atteggiamento di piena dissociazione a quel terribile episodio.
"Ora- ha detto Luigi Montanari, oggi
dentista quarantenne - non mi sentirei di fare nulla di simile. Per capire
bisognerebbe tornare indietro, a quei tempi." Montanari ha negato che il
commando responsabile dell'aggressione a Sergio Ramelli avesse in animo
di uccidere l'avversario politico. "Il progetto prevedeva una lezione,
un pestaggio, qualche giorno di prognosi. Ma il giorno dopo, quando cercammo
la notizia sui giornali e scoprimmo che Ramelli stava morendo provammo
vergogna per l'accaduto".
Ramelli fu aggredito presso casa il
13 marzo 1975, anni dopo circa 50 giorni di agonia, senza essere riuscito
a riprendere conoscenza. Due giorni prima del decesso, davanti alla casa
della vittima, qualcuno rincarò la dose affiggendo un manifesto
in cui si intimava al fratello dell'aggredito di lasciare al più
presto Milano se non voleva fare la fine del congiunto.
Prima di entrare nel vivo della ricostruzione
dell'episodio al quale egli afferma di non avere preso parte materialmente,
l'ex studente di medicina, membro del servizio d'ordine di Avanguardia
Operaia, ha rifatto il percorso del suo impegno politico.
"Il nostro - ha detto -, e il
mio in particolare, era un impegno antifascista. Il compito che si prefiggeva
non era soltanto quello di dare la caccia al fascista, ma di fare chiarezza
su molte cose tra cui il problema della casa e bloccare la spirale dello
stragismo dopo piazza Fontana a Milano e piazza della Loggia a Brescia".
"Ma perché proprio Ramelli?"
gli ha chiesto ad un certo punto il presidente della corte, Antonino Cusumano.
"Non è facile a dirsi. Per
me Ramelli era una ragazzo del Fronte della Gioventù e come tale
un avversario politico, anche se non lo conoscevo personalmente."
Poi l'imputato ha raccontato le fasi
dell'aggressione, dicendo di esserne rimasto fuori perché impegnato
nel servizio di copertura ad alcune decine di metri di distanza. "È
vero - gli ha chiesto il presidente - che fu quello il vostro battesimo
del fuoco?".
"Battesimo sì, ma non del fuoco",
ha incalzato un difensore.
"Non ho voluto dire battesimo delle
spranghe" ha puntualizzato il dottor Cusumano.
"Sì, è stata la nostra
unica azione sanguinosa - ha risposto Montanari -; dopo aver conosciuto
l'esito dell'aggressione mi presentai nella nostra sede in Università
e suggerii al capo del servizio d'ordine di sciogliere il gruppo. Lui disse
di aspettare".
Il processo riprenderà giovedì
con l'interrogatorio di altri imputati. Intanto dall'elenco delle parti
civili è stato cancellato un altro nome, quello di Massimo Seghezzi
che, essendo stato risarcito del danno subito in occasione dell'assalto
al bar Porto di Classe nella zona di città studi, è uscito
dal processo. Vi resta invece, per il momento, la madre di Ramelli alla
quale sono stati offerti 200 milioni a titolo di risarcimento morale e
materiale. La donna non ha voluto conoscere nemmeno l'entità della
somma depositata presso un notaio. Si vedrà nel corso del dibattimento.