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Archivio Ramelli - articoli di giornale Il Corriere della Sera, 30/4/1975 La morte lo ha raggiunto 47 giorni dopo torna agli articoli de Il Corriere della Sera |
La
morte lo ha raggiunto 47 giorni dopo l'aggressione
degli
estremisti di sinistra
Il diciannovenne studente missino
era stato aggredito
il 13 marzo a colpi di spranga e di chiave inglese in via Amadeo mentre
rientrava a casa - E' deceduto ieri mattina al Policlinico dopo
un'agonia
durata 47 giorni - Per qualche momento i medici avevano sperato che
potesse
sopravvivere ma un collasso ha stroncato la pur forte fibra del ragazzo
- Il genitore ha detto: "I giovani non sono responsabili di quello che
sta accadendo, la colpa è di noi padri".
Ancora un altro morto,
ancora un altro lutto. Sergio
Ramelli, il giovane di destra aggredito sotto casa il 13 marzo scorso a
colpi di spranga di ferro e di chiave inglese, è spirato
ieri mattina
alle 10 al padiglione Beretta del Policlinico dove era ricoverato con
prognosi
riservata. E' stato il cuore che ha ceduto: dopo l'insorgere di
complicazioni
polmonari, un improvviso e irreversibile collasso cardiocircolatorio lo
ha stroncato.
Al suo capezzale, al momento del
decesso, non c'era
nessuno; sua madre è arrivata qualche minuto dopo. Nel
reparto neurochirurgico
si era sparsa, intorno al giovane che da quarantasette giorni lottava
contro
la morte, la sensazione che ce l'avrebbe fatta, e che il suo organismo
sano e integro non sarebbe stato sopraffatto dalle ferite e dal male.
Invece
Sergio Ramelli è morto. A diciannove anni. Un anno in
più
di Claudio Varalli, sette in meno di Giannino Zibecchi, gli altri due
giovani
di opposto orientamento politico morti nei giorni scorsi, uccisi da una
malattia che avvelena Milano forse più delle altre
città
italiane.
Sergio Ramelli era iscritto al
Fronte della Gioventù,
l'organizzazione giovanile del MSI che raggruppa gli studenti delle
medie
e ne era un attivista. All'istituto Molinari, dove frequentava il
quinto
anno del corso per periti chimici si era messo talmente in vista che
era
stato costretto a subire un pubblico processo nel corso di una
assemblea.
La sentenza era stata di condanna.
Anche se l'episodio era stato
duramente condannato
da partiti e sindacati, l'emarginazione del ragazzo era continuata.
Telefonate,
insulti, minacce. La famiglia, impressionata, aveva finito per farlo
ritirare
dal Molinari e per farlo iscrivere, a metà febbraio, ad un
istituto
privato. Non per questo Sergio Ramelli aveva cessato la propria
attività
politica, né chi lo aveva minacciato aveva smesso di tenerlo
d'occhio.
Quando a Roma fu ucciso lo studente greco Miki Mantakas,
durante
i disordini scoppiati mentre si celebrava il processo di Primavalle,
Ramelli
partecipò all'affissione sui muri dei manifesti missini.
Così alle 13.13 di
giovedì 13 marzo,
il giovane fu aggredito nei pressi di casa sua, all'angolo di via
Paladini
con via Amadeo: aveva appena parcheggiato la motocicletta quando era
stato
preso alle spalle da alcuni giovani che lo avevano selvaggiamente
percosso
al capo e al corpo con spranghe e chiavi inglesi, infierendo su di lui
anche quando, pesto e sanguinante, era caduto a terra.
Al brutale pestaggio avevano
assistito alcuni passanti
i quali, interrogati successivamente dai funzionari dell'ufficio
politico
della Questura, avevano fornito notizie piuttosto vaghe: a tutt'oggi
non
è ancora sicuro se gli aggressori fossero due tre o
addirittura
sei. L'unico particolare accertato è che si erano
allontanati a
piedi.
Soccorso dal commesso di un
vicino negozio di calzature
e dalla portinaia dello stabile dove abitava, Graziella Zacchia, il
giovane
era stato trasportato al Policlinico: proprio mentre l'autolettiga
stava
partendo alla volta di Niguarda, suo padre, Mario, di 47
anni, stava
rientrando a casa. Informato in fretta e furia di quanto era accaduto
l'uomo
aveva appena avuto il tempo di correre dalla moglie, Anita Pozzoli, di
49 anni, e di correre con lei all'ospedale, dove il loro figliolo stava
subendo un delicato intervento chirurgico al cervello.
Cinque ore di sala operatoria,
mentre i genitori
affranti attendevano nel corridoio, al secondo piano del padiglione
Beretta.
Per un attimo avevano potuto vedere il loro ragazzo privo di sensi,
condotto
al reparto rianimazione. I medici non avevano voluto pronunciarsi:
avevano
dovuto ricostruirgli una parte della calotta cranica fracassata e parte
della membrana cervicale. L'encefalogramma era quasi piatto. La
prognosi
era riservatissima.
Qualche giorno fa, tuttavia, il
giovane aveva perfino
ripreso a parlare. Gli era stato chiesto se aveva riconosciuto i suoi
aggressori,
quel giorno. No, aveva risposto, erano ragazzi che non aveva mai visto.
Poi, improvvise, le
complicazioni polmonari. L'energiche
cure a cui è stato sottoposto perché superasse la
nuova fase
critica non sono riuscite ad impedire il collasso che l'ha colto ieri
mattina.
E adesso un'altra famiglia piange il suo figliolo morto.
Nell'abitazione
di via Amedeo 40 sono rimasti il padre, titolare di un bar in Corso
Buenos
Aires, la madre e il fratello Mario [sic] di vent'anni.
Gli autori di quello che ieri
mattina alle dieci
è diventato un assassinio politico sono ancora sconosciuti;
sul
fascicolo relativo all'episodio, che si trova nell'ufficio del
sostituto
procuratore Alessandrini, sta scritto: "aggressione ad opera di autori
ignoti". Ma il clima di intolleranza in cui è maturato il
tragico
episodio ha già mietuto altre vittime, mentre
Sergio Ramelli
stava lottando contro la morte. Suo padre, sconvolto dal dolore, ha
detto:
"Non ho rancore verso chi ha ucciso Sergio. I giovani non sono
responsabili
di quello che sta succedendo. La colpa è di noi padri".
Serviranno
queste parole a spezzare la tragica catena che ha insanguinato Milano?