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Il Giornale, 28/3/1987

Ci ordinarono di colpire Ramelli

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L'interrogatorio dell'ultrà rosso che con Marco Costa sprangò a morte lo studente di destra

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Giuseppe Ferrari Bravo sceglie una nuova strategia difensiva: "L'aggressione fu decisa dall'alto", però non vuol rivelare da chi

    "La cosa terribile per me è stato il passaggio da una militanza allegra e spensierata ad una tragedia del genere. Entrai nel servizio d'ordine di Avanguardia operaia un paio di mesi prima dell'episodio Ramelli... mi sono bruciato le mani in pochi giorni". Ma quelle scottature sulle mani di Giuseppe Ferrari Bravo, "Aldo" per gli amici (ma lui ci tiene a precisare che non era un nome di battaglia) non valsero a fermarlo. Dopo l'omicidio Ramelli non smise i panni del "rivoluzionario" ed ora si trova accusato anche della devastazione al bar Porto di Classe, con il triplice tentato omicidio di tre clienti (avvenuto un anno dopo la morte di Ramelli) e di aver gestito il covo di viale Bligny. La sua posizione è identica a quella di Marco Costa che ieri, dopo il secondo atto della sua deposizione, ha lasciato il microfono al 'collega'.
    Capelli neri, corti, barba pepe e sale, carnagione scura, gli occhi cerchiati da profonde occhiaie, "Aldo" ha sorvolato sul panorama storico degli unni Settanta, ricostruendo invece il suo viaggio nella contestazione. Un viaggio cominciato tardi rispetto a Marco Costa, ma che in breve lo ha portato nei ranghi della squadra di medicina al fianco di tutti gli altri coimputati.
    "Nel gennaio del '75 mi iscrissi ad Avanguardia operaia dopo aver militato nei Cub. Una mattina, dopo una riunione di cellula, mi fu detto che dovevamo dare un avvertimento ai fascisti della zona. Ebbi la sensazione che l'iniziativa partisse da elementi esterni a noi, che fosse un ordine superiore. Ripeto, dissero che doveva essere un avvertimento, sembra che lo dica a scopi difensivi, ma era davvero così. Quando fu deciso - e qui il racconto di Ferrari Bravo entra nella fase più delicata, un racconto che prosegue fra mille sospensioni con la voce tremula - che con Costa dovevo agire io, materialmente intendo, fui preso dal panico. Ma c'era un impegno preciso e un conflitto violento fra ciò che uno sente e ciò che uno deve fare. Fino ad allora non avevo mai alzato una mano contro un uomo, sono sempre stato mite di carattere... Di quella mattina non ricordo immagini, noi solo sensazioni. LO aspettammo qualche minuto che a me sembrò un'eternità, ad un tratto vidi un ragazzo che legava il motorino e Marco mi disse "ecco andiamo". Ricordo di essere inciampato nel motorino, non vidi Costa colpire, ma io lasciai cadere la mia chiave inglese una volta, forse due".
'Aldo' si blocca un attimo in un'aula che come il giorno prima è ripiombata nel silenzio totale, poi riprende. "Infine scappammo e vidi Gianmaria (è Costantini, morto in un incidente d'auto negli anni scorsi, n.d.r.) sull' angolo di via Paladini, ebbi la sensazione che fosse fuori posto". Il compito di Costantini, lo ricordiamo, era quello di 'palo' assieme agli altri ma sia Costa sia Ferrari Bravo sembrano sostenere, chi più (Costa) chi meno (Ferrari Bravo) che anche lui sia intervenuto contro Ramelli. O quantomeno lo lasciano sospettare.
    Anche Ferrari Bravo, come i compagni, scopre dai giornali la gravità dell'accaduto. "Scazza sentì la notizia per radio, faceva colazione in quel momento e mi disse che stava per rimette". Ferrari Bravo alterna a questo punto i ricordi di quei giorni d' ansia fino a quando una mattina incontrò Montinari:
    "Era una giornata meravigliosa, con un sole splendido, eravamo ai giardini, Luigi si avvicinò e mi disse che Ramelli era morto. Quando ci ritrovammo a casa di Montinari cercai di calmare tutti, ricordai loro che alle manifestazioni centinaia di persone gridavano "morte ai fascisti" ma una cosa era gridarlo, un'altra trovarsi davanti alla morte".
    Poi Ferrari Bravo accelera il suo racconto, per un mese e mezzo non uscì di casa, si mise a studiare e un anno dopo, a 27 anni, si laureò in medicina. Ma la militanza proseguì nonostante tutto, nonostante la morte di un ragazzo di 19 anni che tanto sembrava pesargli. È ancora una volta in questa prevaricazione dell'ideologia sulla morale comune che inciampano gli imputati.
    Degli altri capi d'imputazione Ferrari Bravo risponderà lunedì, mentre Marco Costa ieri ha esaurito il suo interrogatorio ricordando alla Corte: "Non sono qui a cercare un'assoluzione, ma soltanto a dire come sono andate le cose..."
Leonardo Maisano

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