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Archivio Ramelli - articoli di giornale Il Giorno, 17/3/1987 Sono finiti in cenere gli anni... torna agli articoli de Il Giorno |
Sono finiti in cenere gli anni della violenza
È incominciato ieri a
Milano il processo per l'omicidio
di Sergio Ramelli, un ragazzo la cui unica colpa era di essere iscritto
al Fronte della gioventù, di essere quindi un fascista in
quel.
la tragica primavera milanese del 1975, ricordata come il tempo della
spranga
e della vendetta. Imputati, quasi tutti confessi, una decina di
rispettabili
professionisti, perlopiù medici, che dodici anni fa
costituivano
il "servizio d'ordine" di Ao, Avanguardia operaia, una frangia della
sinistra
più estrema. Sprangato il 13 marzo, il giovane Ramelli
morì
dopo 47 giorni di agonia. Sul luogo dell'agguato, una mano fascista
scrisse
col gesso: "Ramelli vive". L'indomani un'altra mano, antifascista,
aggiunse:
"Coi vermi".
I ventenni
di adesso non possono capire
il "male oscuro" che avvelenava l'esistenza dei loro padri e dei loro
fratelli
maggiori. Sembrava che un diabolico regista tenesse il filo di una
recita
spaventosa. Un giorno s'aspettava una battaglia. E c'era, invece,
un'esecuzione.
Vittime di questo clima erano caduti anche gli antifascisti Claudio
Varalli
e Alberto Brasili, sparato il primo e accoltellato il secondo da killer
neri. Il giorno dopo Varalli, un altro antifascista, Giovanni Zibecchi,
fu orrendamente travolto e schiacciato, sul marciapiede, da un
camioncino
delle forze dell'ordine.
Da allora,
molte cose sono cambiate.
Anche i carabinieri e i poliziotti sono cambiati. Ma tutti siamo
cambiati.
lntolleranze di quel genere, oggi, non sono né possibili,
né
pensabili. A nessuno salta più in mente di andare a scrivere
sui
muri, col gesso, "10-100-1000 Ramelli!" E pochi sono rimasti a invocare
la 'memoria storica', per giustificare certi fatti ignobili come
"autodifesa"
o come "militanza antifascista".
Oggi non si
processano degli antifascisti
che hanno sbagliato. Così come non si processa né
il '68
né, tantomeno, il '75-76. Anche coloro che attribuiscono la
rabbia
di quegli anni al "dopo-piazza Fontana" alla delusione per la mancata
giustizia,
commettono un errore storico.
Dimenticano, questi solerti antifascisti,
che proprio negli anni 1975-76 l'orrenda verità sulla strage
li
piazza Fontana stava venendo a galla, non solo giù a
Catanzaro ma
anche quassù a Milano, dove erano in corso ulteriori
inchieste,
condotte con rande coraggio dai giudici D'Ambrosio e Alessandrini, che
fu misteriosamente tolto di mezzo la vigilia dell'interrogatorio di
Vito
Miceli, capo del Sid, e ucciso non dai neri ma dagli ultrarossi di
"Prima
linea". Proprio mentre il processo stava tornando a Milano, sede
naturale.
Anzi: fu in seguito alla "guerriglia milanese" di quella tragica
primavera
che venne invocata la legittima suspicione. Milano fu dichiarata
città
pericolosa, inadatta alla celebrazione del dibattimento. E la
competenza
tornò a Catanzaro. Con i risultati che tutti sanno. La
verità
venne affossata. Agli anni della spranga seguirono i anni di piombo,
culminati
nel sequestro Moro.