Archivio Sergio Ramelli

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Il Giorno, 23/4/1987

Nessuno le disse:"Mi spiace"

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Nessuno le disse: "Mi spiace"

 

  Anita Pozzoli dichiara balbettando: "Dopo la morte di Sergio, fui tempestata di telefonate anonime di insulti" - Mai segni di pentimento, solo l'estate scorsa dei soldi per risarcimento - "Ma io non voglio danaro, solo giustizia"
    "Mio figlio aveva maturato le sue idee politiche, ma non amava la violenza. Non aveva mai fatto male a nessuno ed era stato preso di mira ugualmente, a scuola lo insultavano, lo prendevano a calci. Lui mi diceva di non preoccuparmi". Con il pianto che le muore in gola, parla la mamma di Sergio Ramelli. Nell'aula gremita ancora una volta l'inverosimile, il silenzio è rotto solo dagli scatti delle macchine fotografiche e dai ronzii delle telecamere. Anita Ramelli, poco prima, avvicinandosi con passo incerto al pretorio, aveva tenuto gli occhi bassi, nascosti dietro un paio di grandi occhiali con le lenti scure: nemmeno questa volta ha voluto guardare in faccia gli imputati. Giurando di dire tutta la verità, si è seduta sulla stessa seggiola in cui presero posto quegli otto dottori accusati di aver ucciso suo figlio
il 13 marzo 1975.
    Inizia il suo racconto con la parte più drammatica: "Quella mattina mi ricordo di essere uscita di casa verso mezzogiorno per andare a prendere la bambina a scuola, poi mentre tornavo ". Ma Consumano la interrompe subito, l'atmosfera è troppo pesante e il presidente non vuole che questa testimonianza diventi un altro tormento per una donna già distrutta dal dolore. "Non vorrei farle domande - dice il magistrato - so che non è un momento facile per lei. Mi dica come era suo figlio, come aveva vissuto a scuola".
    Emozionatissima, la Signora Pozzoli, vedova Ramelli, si aggiusta sulla sedia e prende fiato. L'avvocato Ignazio La Russa, il suo rappresentante di parte civile, aveva raccontato che mamma Ramelli ha passato la pasqua piangendo e che non ha dormito per due notti. Il figlio Luigi, che avrebbe dovuto testimoniare dopo di lei, non ha voluto presentarsi, ha preferito rimanere a casa, fuori Milano, dove vive dopo la morte di suo fratello, in seguito alle minacce ricevute mentre Sergio era ancora in agonia e che gli intimavano di lasciare la città entro 48 ore. E' stata l'altra figlia, Simona, di 21 anni, ad accompagnare la mamma a palazzo di giustizia.
    "Sergio aveva in generale buoni rapporti con i suoi compagni di classe - riprende Anita Ramelli - Ma l'ultimo anno di scuola al Molinari per lui fu il più pesante". Tra i ricordi della signora, c'è il ritiro di Sergio dalla scuola pubblica, dove gli studenti di sinistra avevano decretato "l'espulsione dei fascisti". "Dopo che venne costretto a cancellare delle scritte davanti all'istituto, decidemmo di iscriverlo ad una scuola privata che poteva frequentare di pomeriggio". Il giorno in cui Ramelli tornò al Molinari con il padre per ritirare il nulla-osta, dovette passare per forza in mezzo a due ali di studenti e venne aggredito. Scortato da qualche professore, uscì a stento dalla scuola portato in braccio, svenuto dal vicepreside.
    "Dopo iniziammo a sentirci più tranquilli. Lui, appassionato di calcio, aveva ripreso gli allenamenti e in casa non si parlava mai di politica. Poi apparvero delle scritte sotto casa "Ramelli, fascista, sei il primo della lista". Arrivarono anche delle telefonate anonime in cui ci facevano ascoltare "Bandiera rossa" e dopo ci minacciavano. Ne parlai con Sergio, ma lui diceva che erano scherzi". Il 13 marzo Ramelli fu sprangato a morte.
    La signora Ramelli si ferma, non vuole più parlare di quel giorno, le farebbe troppo male. Riprende raccontando i 50 giorni di agonia del figlio, il breve periodo in cui Sergio era uscito dal coma e sembrava essersi ripreso. "Entrai un pomeriggio nella sua stanza in ospedale. Aveva gli occhi aperti e mi guardava ma non riusciva a parlare, emetteva solo dei suoni, s'indicava con un dito la testa. Riuscì a dire "mamma" e forse qualcos'altro "grasso", "Grassi". Poi non parlò più ma sapevo che capiva tutto. La sera del suo funerale mi arrivò una telefonata di insulti e da quel momento fu tutte le sere così, al punto che decisi di cambiare numero. Allora le telefonate arrivavano ai vicini di casa. L'ho saputo solo dopo  Nessuno mi ha mai detto "mi dispiace"". Il silenzio, adesso, è ancora più totale e la signora Ramelli è tremante, quasi balbetta: "Solo l'estate dell'anno scorso è arrivata quella lettera che chiedeva il perdono, tardi. E poi la raccomandata per il risarcimento dei danni. Quando l'ho ricevuta ho sofferto tanto, sono tornata indietro nel tempo. Non so, forse è una prassi dare dei soldi, ma io non li voglio. Prima voglio giustizia".
    Dopo di lei hanno testimoniato un professore e il vicepreside del Molinari dell'epoca in cui Ramelli era studente e poi le parti lese dell'assalto al bar in Largo Porto di Classe, ma non hanno aggiunto nulla di nuovo a quanto già raccontato dagli altri imputati, solo hanno precisato che tra i primi a colpire con le chiavi inglesi furono proprio i militanti dei Caf.
 Paolo Colonnello

 

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