Archivio Ramelli - articoli di giornale Il Secolo d'Italia, 11/2/1987 Un processo a lungo atteso |
Omicidio Ramelli: il 16 marzo
Un processo a lungo atteso
Dieci imputati del delitto e tanti fiancheggiatori
<<eccellenti>>
Un'altra data del 1975, un altro processo che con dodici
anni di ritardo tenta di spiegare i chi, i come ed i perché degli
"anni delle spranghe". 29 aprile 1975, a Milano resta sul marciapiede,
in un coma che si rivelerà irreversibile lo studente Sergio Ramelli:
il prossimo 16 marzo le dieci persone imputate dell'aggressione saliranno
sul banco degli imputati. Qualcuno per confessare, come già fatto
in istruttoria, qualcun altro per cercare funamboliche giustificazioni
ad un delitto che si vorrebbe etichettare come "episodio dell'antifascismo
militante", anziché come omicidio volontario, premeditato ed accuratamente
preparato con pedinamenti ed "informative", vigliaccamente organizzato
e perpetrato fidando sullo strapotere numerico del sette contro uno.
Nella cronaca dell'uccisione di Ramelli c'è un
po' tutta la storia della degenerazione della lotta politica in violenza
diffusa prima, illegalità armata poi, fino al "capolinea" dell'esplosione
terrorista dove ritroveremo i sistemi ed i comportamenti sperimentati nella
"caccia al fascista". Ci sono le schedature, niente di casuale e di spontaneo
ma - come scrivono i giudici - "una pratica risalente alle scelte politiche
dei responsabili dell'organizzazione (Avanguardia Operaia, ndr.) e della
sua struttura che comportava, secondo una metodologia capillare, razionale
e studiata a tavolino, la liquidazione della presenza politica della destra,
e dei gruppi considerati ad essa vicini, scuola per scuola, quartiere per
quartiere". Ci sono, incombenti sulle "motivazioni" addotte dai rei confessi,
gli incubi dello stragismo, la psicosi del golpe alimentata da un regime
incapace di fare giustizia, di dire la verità, di mettere in piazza
i segreti inconfessabili dei "servizi" che ancor oggi restano purtroppo
tali. C'è l'efficienza spietata delle aggressioni, messe a punto
dai ragionieri della violenza con la tessa precisione che ritroveremo nei
"grandi eventi", Moro, piazza Nicosia, Bachelet, Cirillo.
C'è tutto questo, nel delitto Ramelli e nel processo
che si aprirà a marzo, e molto ancora. Compresa la cecità,
colposa talvolta, ma assai più spesso dolosa, di forze dell'ordine,
inquirenti, magistratura, governo, davanti alle pratiche aberranti dell'"antifascismo
militante". Compresa la condiscendenza della "grande stampa" verso i giovani
con le chiavi inglesi, che uccidevano e rivendicavano impunità perché
"non è reato" ammazzare "fascisti". Comprese le ambizioni piccole
dei leaders dell'antifascismo militante, che con un piede nelle istituzioni
e l'atro nel mare magnum dell'illegalità conquisteranno seggi in
Parlamento.
L'elenco dei "fiancheggiatori" è lungo.
Ma purtroppo giornalisti e giudici, onorevoli e questori, ministri degli
interni e "007", il 1 marzo non saranno in aula per rispondere delle rispettive
responsabilità morali e materiali. Ci saranno, invece, i dieci imputati
della preparazione e dell'esecuzione materiale dell'agguato a Ramelli:
Antonio Belpiede, franco castelli, Walter cavallai, Claudio Colosio, Brunella
Colombelli, Marco Costa, Ferrari Bravo, Luigi Montanari, Claudio Scazza
e Giovanni Di Domenico, quest'ultimo consigliere comunale di Democrazia
proletaria a Gorgonzola, in provincia di Milano.
Marco Costa e Ferrari Bravo, insieme a Claudio Mazzarini,
debbono inoltre dare spiegazioni sulla impressionante mole di documenti
trovati nel covo di viale Bligny, autentico archivio da "polizia segreta"
scoperto nel corso delle indagini sull'omicidio Ramelli: diecimila uomini,
cinquemila fotografie, numeri telefonici, descrizioni fisiche, rapporti
sulle abitudini, sulle famiglie, sulle amicizie delle persone a qualunque
titolo ritenute "interessanti" da Avanguardia operaia. Lo schedario comprendeva
sostanzialmente sette voci: i "reperti" sulle nascenti Brigate Rosse; la
documentazione relativa alle attività delle Br tra il '77 e il '78;
materiale sulle Forze armate (opuscoli sull'uso delle armi, l'addestramento,
le comunicazioni via radio); informazioni sui gruppi "rivali" dell'estrema
sinistra; elenchi degli esponenti di Comunione e liberazione; dati sui
gruppi di Autonomia operaia. E, infine, i "cartellini" - centinaia, dettagliatissimi
- sui ragazzi e sugli uomini del Movimento sociale, del fronte della gioventù,
dei gruppi di destra. Cartellini compilati con una precisione "quasi grottesca",
scrivono i giudici, "anche con l'uso di moduli prestampati" dove "si prevede
l'annotazione non solo dell'abitazione e dell'autovettura del candidato
al pestaggio, ma di ogni suo particolare: se porta o meno le basette, se
ha il naso aquilino o a patata, se ha nei ...".
Roba da Kgb, da Beria. <<<messa insieme con
sistemi da Lubianka: per restare nell'ambito del processo Ramelli basta
ricordare l'aggressione ed il sequestro di Sergio Spagnolo da parte di
cinque studenti del "Parini" che in un'improvvisata "camera di tortura"
tentarono di estorcergli i nomi di altri simpatizzanti di destra.
Ma l'aspetto politico più significativo dello
schedario di via Bligny è il fatto che esso sia sopravvissuto attraverso
gli anni, dal 1970 al dicembre '85 quando fu ritrovato, e che attraverso
gli anni sia stato costantemente aggiornato.
Finiti i giorni delle spranghe, agonizzante il terrorismo,
chiuso il capitolo dell'"antifascismo militante", ci sono state comunque
mani pazienti che hanno tenuto in ordine "per ogni evenienza" il materiale,
hanno aggiunto nomi, hanno corso rischi per conservare l'archivio. I giudici
sostengono che la gestione dell'enorme "indirizzario" sia passata nel '76
da Avanguardia operaia all'appena costituita democrazia proletaria, che
fino al 1980 sarebbe stata la custode dei carteggi. Ed i collegamenti tra
Ao e Dp costituiscono uno dei "noccioli duri" dell'inchiesta: non a caso,
mentre l'inchiesta sul delitto Ramelli ha provocato ripensamenti ed autocritiche
talvolta coraggiose in vasti settori della sinistra, il gruppo di Capanna
si è arroccato quasi completamente su un improponibile innocentismo
e sulla rivendicazione di assoluzioni "politiche" per i responsabili.
f.p.
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