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Archivio Ramelli - articoli di giornale Il Secolo d'Italia, 17/3/1987 Un'attesa durata dodici anni |
Giornalisti in "gabbia"
Cusumano li deve chiamare
più volte, sbracciandosi per fare un po' di spazio davanti
al suo
tavolo, prima di vederli in faccia. L'aula della seconda Corte d'Assise
è minuscola, 15 file di panche occupate da avvocati,
assistenti,
imputati, e non c'è spazio neppure per i testimoni. Cento,
duecento
persone, arrivate di buon'ora per curiosare, o per seguire dal vivo
quella
che si preannuncia come una rivisitazione politica, oltreché
giudiziaria,
degli "anni delle spranghe,, restano fuori, i giornalisti dopo un paio
d'ore d'attesa, vengono fatti accomodare nel gabbione: c'è
posto
solo lì e poco importa se la collocazione rispecchia uno dei
punti
dolenti dell'inchiesta e del dibattito che su di essa si è
innescato,
cioè la correità morale dei manipolatori delle
opinioni,
stampa, istituzioni, partiti, del linciaggio morale che fu presupposto
dei linciaggi veri, quelli delle "Hazet 36" a cui inneggiavano i cortei
di Avanguardia Operaia. L'"Hazet 36"è un tipo di
chiave inglese.
I fotografi spiano le
reazioni della signora Ramelli. È la prima volta che vede in
faccia
gli uomini che hanno confessato di aver ucciso suo figlio. Ma
c'è
poco da sbirciare. Anita Pozzoli guarda dritto verso la Corte, ed
all'appello
degli imputati si gira solo un po': "Sono riuscita appena a vederli",
racconterà
poi, davanti alla lapide in via Amadeo, dove i ragazzi del Fronte della
Gioventù conducono il corteo indetto per ricordare Sergio.
È
stata una grande emozione, soprattutto all'inizio, poi è
passata".
E loro, gli ex - studenti
di medicina che 12 anni fa si appostarono, spranghe in tasca per
"levare
di mezzo" un coetaneo che non avevano neppure mai visto? Giacca e
cravatta
sono di rigore. Maglioncini di cashimire e cappotti grigi sottolineano
il nuovo status. Medici, insegnanti, padri di famiglia con la testa
nascosta
tra le mani per evitare i flash, stipati nelle panche più
laterali
per farsi notare il meno possibile, finché l'appello del
presidente
non li obbliga a lasciarsi riconoscere: Antonio Belpiede, Franco
Castelli,
Aber Cavallaro, Claudio Colosiio, Marco Costa, Francesco Cremonese,
Giovanni
Di Domenico, Giuseppe Ferrari Bravo, Saverio Ferrari, Carlo (Guarisco,
Luigi Montanari, Stefano Motta, Lorenzo Muddolon, Claudio Scatta,
Roberto
Luminelli, Brunella Colombelli, Massimo Bogni, Mauro Pai, Luca
Belenghi,
Paolo Rosti, Guido Cresti, Francesco Rotuzzo.
Picchiatori e "burocrati"
Ci sono sia i dieci che
devono rispondere del delitto Ramelli, sia quelli dell'assalto al bar
"Porto
di Classe", delle violenze ai Liceo Parini, degli attentati alle sedi
del
Msi e della Cisnal. Ci sono i picchiatori, ci sono i burocrati
dell'archivio
di via Bligny: cinquemila nomi messi in fila, per dare obiettivi in
carne
ed ossa all'"antifascismo militante), Gli unici a non rispondere sono
Bernardino
Pasinelli e Massimo Manetti: il primo, imputato in un procedimento
contro
le Br, è rimasto agli arresti domiciliari; il secondo si fa
dichiarare
semplicemente contumace dal suo avvocato.
Se dentro l'aula della
seconda Corte d'Assise il processo non ha apparentemente nulla del
grande
appuntamento di rivisitazione storica politica che si preannunciava,
chiuso
com'è tra le anguste logistiche di quei 70 metri quadri e le
strettoie
burocratiche e dei preliminari, fuori atmosfera è diversa.
Il Msi
e il Fronte della Gioventù dallo svolgimento del
dibattimento si
attendono qualcosa di più di un'applicazione formale dei
codici:
"Abbiamo atteso per dodici anni questa giornata" - dice il
vicesegretario
nazionale missino Frano Servello -, una giornata che coincide con una
richiesta
di giustizia, che non significa vendetta, ma riconoscimento di un
sacrificio,
quello li Ramelli, e di un atto di barbarie, quello dei suoi assassini.
La posta in gioco di questo cammino verso la verità
è troppo
alta per essere trascurata: la pacificazione può essere
l'atto conclusivo
di quest'ansia di giustizia per tutti i caduti della causa nazionale".
"La speranza - ribadisce Ignazio
La Russa, segretario provinciale del Msi-Dn e avvocato di parte civile
per la signora Ramelli - è che dalla profonda riflessione di
tutti
nasca una società più giusta. Questo Sergio
voleva, e per
questo non sarà morto invano".
I "vecchi tempi" sono finiti
Gli stessi
temi hanno animato ieri l'assemblea-dibattito svolta nella sede della
Federazione
missina in via Mancini ed il corteo conclusosi sotto casa Ramelli, dove
sette-ottocento giovani hanno atteso il ritorno dal Tribunale della
signora
Anita Bozzoli, accolta dal vicesegretario nazionale Servello, dai
vicesegretari
nazionali del FdG Valle ed Andriani, dal segretario provinciale La
Russa
e dal vicesegretario De Corato. "In quel terribile e meraviglioso '75 -
ricorda Valle - la morte di Sergio diede al Movimento la forza per
superare
gli anni dell'odio. Oggi è venuto finalmente il tempo che il
suo
sacrificio diventi un simbolo per l'intera comunità
nazionale Non
chiediamo vendetta, i neppure pene esemplari, ma solo sacrosanta
giustizia".
Intenzioni
chiare, semplici, espresse senza mezzi termini. Eppure c'è
chi,
con la stessa tenacia di dieci anni fa. tenta di confondere le acque.
Democrazia
Proletaria, erede della "tradizione" dei servizi d'ordine di
Avanguardia
Operaia, in un incredibile comunicato diffuso ieri in tribunale parla
di
"clima di intimidazione" creato "per condizionare emotivamente i
giudici"".
E lancia un appello in puro stile "anni '70": tutti i "democratici di
Milano,
i giovani delle scuole, i lavoratori, le organizzazioni sindacali e
partigiane"
sono invitati a partecipare al "presidio di nassa" in piazza Fontana
per
"garantire l'impegno di tutti gli antifascisti contro ogni tentativo di
provocazione neofascista" - Magro il risultato: davanti alla Banca
dell'Agricoltura
si sono ritrovati in tre dozzine, intorno ad un camioncino che non
strombazzava
"Contessa", ma rock americano e ad una mostra fotografica impolverata
di
cantina. I "vecchi tempi" sono davvero finiti.
Flavia Perina
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