Archivio Sergio Ramelli

Archivio Ramelli - articoli di giornale

Il Secolo d'Italia, 17/3/1987

Un'attesa durata dodici anni

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Aperto a Milano (e rinviato di una settimana) il processo per l'assassinio di Sergio Ramelli
Un'attesa durata dodici anni
non chiediamo vendetta, ma giustizia
Per la prima volta la madre del giovane martire si è trovata faccia a faccia con coloro che hanno confessato di averle ucciso il figlio - Assemblea-dibattito nella sede della Federazione del Msi-Dn e corteo del FdG conclusosi sotto casa Ramelli

 MILANO - I giornalisti nel gabbione degli imputati, gli ex- "cucchini" rigorosamente in giacca e cravatta, i vecchi capi dei servizi d'ordine pazientemente in fila tra le transenne, a chiedere per piacere quando si entra. Chi va alla ricerca di simbolismi, in questa prima udienza del processo agli assassini di Sergio Ramelli, non ha che l'imbarazzo della scelta. E d'altra parte, al di là dei volti e dell'atmosfera, dei particolari curiosi o rivelatori, c'è ben poco da annotare: il dibattimento comincia alle 11.08, alle 11,32 è già finito.
     Il presidente Antonino Cusumano sta male, una nefrite gli impone "l'immediato ritorno in posizione orizzontale", come dice lui stesso: "Gli imputati sono tutti medici, capiranno". Si riprenderà tra sette giorni, lunedì prossimo, con l'impegno di svolgere udienze "ad oltranza", dalle 9 al primo pomeriggio, almeno quattro giorni a settimana.
     Ma, ed è questo l'importante, dodici anni e tre giorni dopo l'omicidio di Sergio, la giustizia ha cominciato il suo corso. Il processo è "incardinato", con l'appello degli imputati (tutti presenti tranne Bernardino, Pasinelli e Massimo Manetti) e la costituzione delle parti civili: Anita bozzoli Ramelli, la madre della giovanissima vittima; Massimo Seghizzi, il barista del "Porto di Classe", (il locale devastato da uno dei "raid antifascisti" che figurano tra i capi di imputazione); Fabrizio Rossi e Mirella Ciancetta, due clienti dello stesso bar.

Giornalisti in "gabbia"
      Cusumano li deve chiamare più volte, sbracciandosi per fare un po' di spazio davanti al suo tavolo, prima di vederli in faccia. L'aula della seconda Corte d'Assise è minuscola, 15 file di panche occupate da avvocati, assistenti, imputati, e non c'è spazio neppure per i testimoni. Cento, duecento persone, arrivate di buon'ora per curiosare, o per seguire dal vivo quella che si preannuncia come una rivisitazione politica, oltreché giudiziaria, degli "anni delle spranghe,, restano fuori, i giornalisti dopo un paio d'ore d'attesa, vengono fatti accomodare nel gabbione: c'è posto solo lì e poco importa se la collocazione rispecchia uno dei punti dolenti dell'inchiesta e del dibattito che su di essa si è innescato, cioè la correità morale dei manipolatori delle opinioni,  stampa, istituzioni, partiti, del linciaggio morale che fu presupposto dei linciaggi veri, quelli delle "Hazet 36" a cui inneggiavano i cortei di Avanguardia Operaia. L'"Hazet 36"è un tipo di chiave  inglese.
      I fotografi spiano le reazioni della signora Ramelli. È la prima volta che vede in faccia gli uomini che hanno confessato di aver ucciso suo figlio. Ma c'è poco da sbirciare. Anita Pozzoli guarda dritto verso la Corte, ed all'appello degli imputati si gira solo un po': "Sono riuscita appena a vederli", racconterà poi, davanti alla lapide in via Amadeo, dove i ragazzi del Fronte della Gioventù conducono il corteo indetto per ricordare Sergio. È stata una grande emozione, soprattutto all'inizio, poi è passata".
      E loro, gli ex - studenti di medicina che 12 anni fa si appostarono, spranghe in tasca per "levare di mezzo" un coetaneo che non avevano neppure mai visto? Giacca e cravatta sono di rigore. Maglioncini di cashimire e cappotti grigi sottolineano il nuovo status. Medici, insegnanti, padri di famiglia con la testa nascosta tra le mani per evitare i flash, stipati nelle panche più laterali per farsi notare il meno possibile, finché l'appello del presidente non li obbliga a lasciarsi riconoscere: Antonio Belpiede, Franco Castelli, Aber Cavallaro, Claudio Colosiio, Marco Costa, Francesco Cremonese, Giovanni Di Domenico, Giuseppe Ferrari Bravo, Saverio Ferrari, Carlo (Guarisco, Luigi Montanari, Stefano Motta, Lorenzo Muddolon, Claudio Scatta, Roberto Luminelli, Brunella Colombelli, Massimo Bogni, Mauro Pai, Luca Belenghi, Paolo Rosti, Guido Cresti, Francesco Rotuzzo.

Picchiatori e "burocrati"
      Ci sono sia i dieci che devono rispondere del delitto Ramelli, sia quelli dell'assalto al bar "Porto di Classe", delle violenze ai Liceo Parini, degli attentati alle sedi del Msi e della Cisnal. Ci sono i picchiatori, ci sono i burocrati dell'archivio di via Bligny: cinquemila nomi messi in fila, per dare obiettivi in carne ed ossa all'"antifascismo militante), Gli unici a non rispondere sono Bernardino Pasinelli e Massimo Manetti: il primo, imputato in un procedimento contro le Br, è rimasto agli arresti domiciliari; il secondo si fa dichiarare semplicemente contumace dal suo avvocato.
      Se dentro l'aula della seconda Corte d'Assise il processo non ha apparentemente nulla del grande appuntamento di rivisitazione storica politica che si preannunciava, chiuso com'è tra le anguste logistiche di quei 70 metri quadri e le strettoie burocratiche e dei preliminari, fuori atmosfera è diversa. Il Msi e il Fronte della Gioventù dallo svolgimento del dibattimento si attendono qualcosa di più di un'applicazione formale dei codici: "Abbiamo atteso per dodici anni questa giornata" - dice il vicesegretario nazionale missino Frano Servello -, una giornata che coincide con una richiesta di giustizia, che non significa vendetta, ma riconoscimento di un sacrificio, quello li Ramelli, e di un atto di barbarie, quello dei suoi assassini. La posta in gioco di questo cammino verso la verità è troppo alta per essere trascurata: la pacificazione può essere l'atto conclusivo di quest'ansia di giustizia per tutti i caduti della causa nazionale".
     "La speranza - ribadisce Ignazio La Russa, segretario provinciale del Msi-Dn e avvocato di parte civile per la signora Ramelli - è che dalla profonda riflessione di tutti nasca una società più giusta. Questo Sergio voleva, e per questo non sarà morto invano".

I "vecchi tempi" sono finiti
        Gli stessi temi hanno animato ieri l'assemblea-dibattito svolta nella sede della Federazione missina in via Mancini ed il corteo conclusosi sotto casa Ramelli, dove sette-ottocento giovani hanno atteso il ritorno dal Tribunale della signora Anita Bozzoli, accolta dal vicesegretario nazionale Servello, dai vicesegretari nazionali del FdG Valle ed Andriani, dal segretario provinciale La Russa e dal vicesegretario De Corato. "In quel terribile e meraviglioso '75 - ricorda Valle - la morte di Sergio diede al Movimento la forza per superare gli anni dell'odio. Oggi è venuto finalmente il tempo che il suo sacrificio diventi un simbolo per l'intera comunità nazionale Non chiediamo vendetta, i neppure pene esemplari, ma solo sacrosanta giustizia".
        Intenzioni chiare, semplici, espresse senza mezzi termini. Eppure c'è chi, con la stessa tenacia di dieci anni fa. tenta di confondere le acque. Democrazia Proletaria, erede della "tradizione" dei servizi d'ordine di Avanguardia Operaia, in un incredibile comunicato diffuso ieri in tribunale parla di "clima di intimidazione" creato "per condizionare emotivamente i giudici"". E lancia un appello in puro stile "anni '70": tutti i "democratici di Milano, i giovani delle scuole, i lavoratori, le organizzazioni sindacali e partigiane" sono invitati a partecipare al "presidio di nassa" in piazza Fontana per "garantire l'impegno di tutti gli antifascisti contro ogni tentativo di provocazione neofascista" - Magro il risultato: davanti alla Banca dell'Agricoltura si sono ritrovati in tre dozzine, intorno ad un camioncino che non strombazzava "Contessa", ma rock americano e ad una mostra fotografica impolverata di cantina. I "vecchi tempi" sono davvero finiti.
Flavia Perina
  
 
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