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Archivio Ramelli - articoli di giornale Il Secolo d'Italia, 25/3/1987 Questi dodici anni di ferite |
(In un
riquadro la dicitura: "Visto dagli altri")
Il Corriere della Sera intervista
Anita Ramelli
"Questi dodici anni di ferite"
Pubblichiamo il testo dell'intervista rilasciata dalla signora Anita Ramelli, madre di Sergio, al Corriere della Sera.
MILANO - La lettera gliel'ha consegnata un
sacerdote.
Una lettera di meditazione e di pentimento, indirizzata a una madre che
ha visto il figlio morire in un pestaggio. Dalla prima all'ultima riga,
Anita Ramelli l'ha letta e riletta.
"Ho pianto per tre giorni. ..". In fondo,
cinque firme:
Franco Castelli, Luigi Montinari, Claudio Colosio, Claudio Scazza e
Walter
Cavallari.
Nella
stagione dell'odio e del furore
politico, erano "soldati" del servizio d'ordine di Avanguardia Operaia,
e fecero parte del commando che punì un "fascio", un nemico,
un
ragazzo di diciotto anni attestato sulla barricata opposta. Ora sono
professionisti,
tutti medici, non indossano l'eskimo, ma il camice bianco.
Una pagina
e mezzo. Ecco alcuni brani.
"Questa lettera le giunge con tanto, troppo ritardo: ci rendiamo conto
che il semplice fatto di riceverla La potrà far soffrire.
Coloro
che scrivono oggi sono uomini molto diversi dai ragazzi di quel tragico
giorno. Avremmo voluto scriverle molti anni addietro. Invece siamo
rimasti
soli: ciascuno ha cercato di rifugiarsi nella propria casa, non
dimenticando,
anzi assaliti dal profondo rimorso di quel momento disgraziato.
"Non
avevamo nulla di personale contro
suo figlio, non lo avevamo mai conosciuto né visto. Ma, come
troppo
spesso accadeva in quel periodo, il fatto di pensare in modo diverso
automaticamente
diventava causa di violenza gratuita e ingiustificabile. Nessuno di
noi,
però, aveva l'intenzione e neppure il sospetto che tutto
potesse
finire in modo così terribile. Oggi riteniamo profondamente
sbagliato,
anzi inconcepibile, dirimere le differenze tra i diversi modi di
pensare
con la pratica della violenza".
Anita Ramelli non parla di vendetta,
né di perdono. Si attorciglia le mani e sussurra: "Avessi
avuto
prima la lettera, una lettera anche anonima, in questi dodici anni di
ferire
mi avrebbe aiutato molto, riti avrebbe aiutato a tirare avanti... Ma
l'hanno
scritta dieci mesi dopo che la verità era venuta alla luce".
Siamo nel
salottino di casa Ramelli,
e la finestra inquadra proprio il pezzo di asfalto dove Sergio fu
sprangato.
Due piccole lapidi ricordano un'esistenza recisa. "Per tanto tempo, non
riuscivo ad affacciarmi a guardare giù...".
Tornano
alla mente flash di quel feroce
13 marzo del '75. "Ero andata a prendere a scuola Simona, in viale
Romagna...
Simona aveva nove anni... Arrivo e il "Ciao" é a terra, i
capannelli,
una gran confusione... Il 'Ciao' Sergio non aveva avuto il tempo di
incatenarlo...
Una signora mi strappa Simona di mano e dice: "La bambina sta con me"".
Quarantasette giorni di agonia. Il
Policlinico. La camera di rianimazione. "Non so quante volte ho
invocato
la Provvidenza e ho ripetuto: Gesù Cristo aiutami". Sempre
accanto
al lettino, sempre accanto al suo ragazzo, per coglierne impercettibili
movimenti della labbra. "Ho sperato fino all'ultima sera, quando aveva
39 di febbre e faticava a respirare...
Avrei
voluto afferrarlo e portarlo
a casa"
Affiorano i
giorni delle intimidazioni
fra i banchi. Sergio era stato costretto a lasciare il 'Molinari' dopo
due aggressioni. Durante un'assemblea, aveva subito un 'processo' da
parte
dei suoi avversari politici. "Una mattina rientrò tutto
sporco e
disse soltanto: 'C'erano delle scritte e hanno voluto che le
cancellassi'.
Non soleva allarmarci, metterci in apprensione..". Più tardi
si
seppe che era stato circondato da un'ottantina di studenti: gli
intimarono
di togliere scritte fasciste, con spintoni e minacce.
Qualcuno
scattò anche una foto,
e fu la foto che indicò al commando l'obiettivo da colpire.
La casa
è com'era allora. Ci
sono i libri di Sergio, e ogni tanto spunta un foglio con un pensiero
fissato
da una "biro". Ci sono le fotografie dei calciatori dell'Inter, e gli
autografi
"A Sergio con simpatia" degli idoli in maglia nerazzurra. Nel
guardaroba
c'è ancora il cappotto, il loden, che lui portava quel
pomeriggio,
Anita lo ha fatto lavare e lo ha regalato ad una signora che ne aveva
bisogna.
Nulla è stato toccato, ma la
casa è più
silenziosa e più vuota. il padre, Mario, ha chiuso gli occhi
sfinito
dal dolore; Luigi, il figlio più grande, si è
sposato e non
è più a Milano. Resta Simona, che ha ventun anni.
È
impiegata, va via al mattino e torna La sera. "Di Sergio e della sua
morte
non parliamo mai".
Le lunghe
ore vuote accompagnano le
ossessioni e le ombre. "Mio marito diceva: 'troviamo un'altra
abitazione'.
È inutile, perché le cose le porti dentro.
È un chiodo
fisso, pure quando vado in montagna. Tutto mi richiama lui: le strade,
i negozi, le facce, i sorrisi, gli amici. Vedo un giovane con il
motorino
e penso: ha la sua età, poteva essere Sergio". Anita
s'interrompe,
abbassa gli occhi. Una pausa, riprende: "A una malattia ti rassegni, ma
così... Alle undici esce di casa sano e contento, e due ore
dopo...".
Del mondo intorno non le importa più nulla: "Ho un'apatia,
un'apatia
dentro".
La vigilia
dell'udienza d'apertura
del processo in Assise, è stata una vigilia insonne e
agitata: "Ho
preso parecchie pastiglie di tranquillante, e non ne prendo mai". In
aula
non si è mai voltata verso gli imputati. Sua sorella
sollecitava
l'avvocato La Russa: "Mostrameli, ti prego". Anita, invece, non ha
chiesto
nulla. "Anche se li vedessi, non mi farebbero impressione. Credo che
sarebbero
loro a provare qualcosa".
La madre di
Sergio dice: "Domenica".
È, per lei, l'unico giorno della settimana che abbia un
senso di
preghiera. Il giorno in cui va al cimitero di Lodi, a inginocchiarsi
davanti
a una lapide e sotto una volta. Oggi vorrebbe deporre un mazzo di iris.
"Ma è ancora freddo, e i fiori di primavera tardammo a
nascere".