Archivio Ramelli - articoli di giornale Il Secolo d'Italia, 28/3/1987 Parla il secondo sprangatore... |
L'interrogatorio di Giuseppe Ferrari Bravo continuerà lunedì
Parla il secondo sprangatore del commando
che uccise Ramelli
Esce di scena Costa, restano inalterati gli interrogativi sulle reali intenzioni del gruppo di picchiatori - Volevano davvero limitarsi ad "intimidire" Sergio? Molti particolari fanno pensare il contrario
La fine dell'interrogatorio di Marco Costa e l'inizio di quello di Giuseppe Ferrari Bravo hanno impegnato ieri i giudici del processo per l'omicidio Ramelli. I due esecutori materiali del delitto stati invitati a chiarire alcune contraddizioni emerse dalle loro dichiarazioni istruttorie e dal confronto tra le posizioni dei singoli irnputati: in particolare il presidente Cusumano, il pm D'Ameno ed il rappresentante di parte civile della signora Ramelli, avv. Ignazio La Russa, hanno tentato di approfondire il problema delle "reali intenzioni" del commando di Avanguardia operaia.
L'agguato a Sergio fu deciso davvero solo per "intimidire un nemico", o c'era ben di più dietro la meticolosa organizzazione della squadra di "cucchini"? Costa e Ferrari Bravo, ovviamente, sostengono la prima tesi. Ma di interrogativi da chiarire ne restano molti: perché, ad esempio, se l'azione venne considerata a posteriori "un fallimento" (a causa della morte della vittima) Costa venne successivamente nominato capo - squadra del servizio d'ordine? L'imputato non ha risposto a questa contestazione di La Russa, ed a trarlo d'impaccio è dovuto arrivare il suo legale.
Vaghe anche le spiegazioni anche sul "dopo Ramelli", ed in particolare sulle iniziative prese da Avanguardia operaia verso i due sprangatori. Se l'ordine era quello di limitarsi ad "intimidire" è ipotizzabile che una struttura rigidamente "militarizzata" come quella di AO. assumesse provvedimenti nei confronti di chi "aveva sbagliato"?. Ed a maggior ragione questa ipotesi dovrebbe essere confermata se la fine di Sergio avviò quel "processo di riflessione", quell'autocritica, dì cui Costa ha parlato. Ma ad una specifica richiesta del Pm sull'avviamento di un'"inchiesta" di Avanguardia operaia sull'accaduto Costa non ha saputo rispondere. Per lui non ci furono conseguenze, per il caposquadra non si sa.
Il "nodo" delle effettive intenzioni del commando è stato toccato anche dalla deposizione di Giuseppe Ferrari Bravo, il secondo picchiatore del gruppo. L'imputato ha dato la sua versione del delitto, cominciando dalla riunione di prima mattina in cui vennero stabiliti i ruoli dei partecipanti all'azione: quando si toccò di scegliere chi avrebbe materialmente picchiato - ha detto - venne esclusa la "candidatura" spontanea di Costantini ("troppo impulsivo") e si preferì dare l'incarico a Ferrari Bravo, giudicato "più mite" (sic!).
Il racconto dell'aggressione è più o meno lo stesso di quello di Costa. Sergio arriva spingendo il motorino, i due si fanno avanti. Ferrari Bravo è leggermente in ritardo rispetto al compagno: sarà il secondo a colpire. Uno o due botte, sostiene, con la chiave inglese tirata fuori dal giaccone. Poi, il precipitoso ritorno all'Università: Ferrari Bravo va via "convinto che non fosse successo niente" e malgrado abbia visto Ramelli per terra esanime ha la sensazione di "non aver assolto il compito".
Ma come, non doveva essere "solo un'intimidazione"? E perché quel pensiero di "aver fallito", per intimidire non basta lasciare l'avversario sul marciapiede? Non è la sola contraddizione nelle parole di Ferrari Bravo. Parlando della riunione preliminare, l'ex picchiatore ha descritto quel che provò quando venne scelto come esecutore materiale, cioè del contrasto interiore tra il "senso di militanza" ed il desiderio di sfuggire all'incarico di sprangare. Un contrasto inspiegabile. se davvero il commando era incaricato semplicemente di dare una lezione ad un avversario. Più comprensibile se l'ordine era di uccidere.
Nell'udienza di ieri si è affrontato anche l'argomento dell'assalto al bar l'orto di Classe. Costa ha ricordato le convocazioni tra i membri di Avanguardia operaia, la costituzione del gruppo (lui si portò dietro tre-quattro persone), l'"ispezione" che fecero nel locale cinque compagni "ben vestiti", tra cui sarebbe stato Tuminelli, per verificare la presenza dei fascisti che si volevano colpire. Il Lancio di una molotov fu il segnale per l'irruzione, la devastazione del bar, il selvaggio pestaggio dei clienti.
Mentre Costa - malgrado quel che sostiene sul suo "travaglio interiore" dopo il delitto Ramelli - entrava spranga in mano al Porto dì Classe, per Ferrari Bravo era imminente il trasferimento dal servizio d'ordine all'Unione inquilini, l'organismo che "gestiva" l'occupazione di case. Con lui si sarebbero spostati al "settore Casa" di AO anche Castelli, Montinari e Belpiede.
Il processo riprende lunedì, per proseguire l'interrogatorio di Ferrari Bravo.
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