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Archivio Ramelli - articoli di giornale L'Unità, 17/3/1987 Violenza, una scheggia impazzita |
Violenza, una scheggia impazzita
L'inizio del
processo Ramelli è stato accompagnato da un clima disteso
sia dentro
l'aula di giustizia (imputati a piede libero e senza manette, a
sottolineare
che si tratta ormai di persone diverse da quelle che erano dodici anni
fa), sia fuori. Anche il corteo dei neofascisti, con la sua lugubre
arroganza,
è caduto nell'isolamento.
È la
conferma che Milano è ormai capace di vivere senza traumi
anche
gli appuntamenti più drammatici e che in nessun modo
è più
proponibile, da parte di chiunque, un clima di violenza stile anni 70?
Lo chiediamo a Marco Fumagalli, della segreteria provinciale del Pci.
"L'assenza
di scontri è certamente il dato più importante
della mattinata
di ieri, non mi interessa come siano andate le due manifestazioni o il
numero dei partecipanti. L'augurio è che in nessuna
occasione si
riproduca qualsiasi episodio di violenza".
Che cosa pensi
dell'apertura di questo processo dopo 12 anni?
"La giustizia
deve fare il suo di corso. È evidente che dodici anni non
sono passati
invano e che anche le persone implicate sono cambiate".
Il processo
induce a riflettere sul clima di quegli anni. Qual è la tua
opinione?
"È
sbagliato ridurre il clima degli anni 70 all'assassinio di Ramelli e
chi
lo la si rende responsabile di una falsificazione storica. C'e bisogno
di vedere quegli anni sotto una lente che non sia cosi deformante. Ci
sono
stati certamente i drammi e le degenerazioni, ma sono stati anni di
grande
crescita civile e di trasformazione profonda degli assetti democratici.
Basti pensare alla scolarizzazione di massa, al divorzio, al voto a 18
anni, alla vivacità del i mondo della cultura. Per questo
vorrei
che si rompesse questo ricatto per cui siamo costretti a parlare di
quegli
anni attraverso un procedimento giudiziario".
Ma anche il
tema della violenza va affrontato.
"Naturalmente. Bisogna chiedersi
come mai un pezzo
delle giovani generazioni (una minoranza) scelse questa via, e nel modo
più feroce, come quando si arrivava a esaltare il massacro
del singolo.
Ci fu da parte loro uno stravolgimento delle istanze e dei valori che
erano
alla base dei processi. Non si può storicizzare tutto; c'era
senza
dubbio allora la violenza fascista e c'erano settori degli apparati
statali
conniventi con le forze eversive, ma questo non può
giustificare
quello che è avvenuto e che ha alla base una lettura
sbagliata della
Resistenza, l'idea della rivoluzione tradita e una concezione assurda
dell'antifascismo
militante. Tutto questo si intrecciò con forme meno
riconducibili
alla politica e più alla cultura militarista violenta che
era presente
nei servizi d'ordine. Sia chiaro che tutto questo però non
erano
"gli anni Settanta" ma l'impazzimento di un pezzo di quella generazione.
È proponibile, secondo te, un
paragone con il
movimento attuale degli studenti?
"la generazione attuale, esprime per
fortuna un rifiuto
della violenza e dell'intolleranza che è un fatto di grande
valore,
ha scoperto il pacifismo, i valori dell'ambiente, ha un approccio con
la
politica molto diverso da quello del passato".
Paola Soave
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