(In prima pagina le foto di Franco Castelli, Walter Cavallari e Marco Costa)
Al processo Ramelli interrogatorio di Walter Cavallari del "servizio d'ordine"
Ecco i nomi di chi ordinò le aggressioni"Nei gruppi l'impegno militare e quello politico coincidevano" "Mi affidarono una spedizione contro un fascista, ma io persi la testa" - Il presidente: "Grazie per non aver scaricato soltanto sui morti la responsabilità di quei delitti, come è stato fatto finora"
MILANO - Walter Cavallari, 35 anni, tira fuori dl tasca un opuscoletto dalla copertina rossa sbiadita, e lo consegna alla Corte. È il "Vademecum del cittadino sospetto", a cura del settimanale evangelico "Nuovi tempi". E d'un tratto quel clima di violenza diffusa mobilitazione generale in vista di imminenti sconvolgimenti nella vita del paese assume un'evidenza che nessuna delle più o meno sofferte, più o meno lucide deposizioni di queste scorse udienze del processo Ramelli è riuscita a rendere "Era il '71, e loro erano cattolici. Noi eravamo leninisti, ed eravamo ormai nel '74". Di mezzo ci sono state le preoccupazioni sempre crescenti per un imminente colpo diStato, e ci sono state le due "stragi di Stato", Italicus e piazza della Loggia.
"Non vorrei che le mie parole fossero intese come una giustificazione. Sono contento dì essere arrivato già molti anni fa alla convinzione che non si può giustificare nessun atto di violenza. contro chicchessia", ha detto Cavallari all'inizio della deposizione. Ma bisogna pur capire che cosa avveniva in quegli anni. E racconta la sua storia di ragazzo, un ragazzo come i tanti che a 16-17 anni si avvicinavano alla vita politica. Liceo scientifico Volta, un terreno di scontro sul quale Movimento Studentesco e fascisti si affrontavano contendendosi l'egemonia politica; e quei ragazzi che crescevano in un mondo in cui bisognava prendere parte: "per il Vietnam o per gli americani? Per Valpreda o per chi metteva in prigione Valpreda? Erano grandi avvenimenti che coinvolgevano emotivamente. Molti forse riuscirono a non farsi coinvolgere, io non ci riuscii".
Il suo bisogno di schierarsi lo porta a militare nei Cub (Comitati unitari di base), poi in Avanguardia Operaia, in fine nel servizio d'ordine, come caposquadra di Medicina. "La responsabile dl cellula Flavia Donati mi spiegò che mi assumevo una grossa responsabilità politica", spiega. In quei tempi impegno politico e "militare" coincidevano nei piccoli partiti. "Spero - dice - che si intenda nel giusto senso questa parola". Il presidente Cusumano assente. "Pensavamo di essere un'avanguardia capace di guidare le masse, ricordavamo che anche la rivoluzione russa era stata condotta da una minoranza".
Ma la sua tempra "militare" si dimostrerà fragilissima alla prima occasione. A metterlo alla prova è Giovanni Di Domenico, "Gioele", attualmente esponente demoproletario a Gorgonzola. "Il responsabile della segreteria del servizio d'ordine -spiega - era Roberto Grassi, Di Domenico era il suo vice". Grassi è morto suicida tempo fa, Di Domenico si è sempre dichiarato estraneo. E la prima volta che si connette il suo nome con una responsabilità precisa, in quest'aula, e il presidente Cusumano lo rileva con dichiarato sollievo: 'La ringrazio di aver rotto questa sensazione spiacevole, che tutto si debba scaricare su chi non c'è più".
"Di Domenico - prosegue Cavallari - mi disse che dovevo andare a sprangare un fascista. Non lo conoscevo, un altro compagno me lo avrebbe indicato. Avrei dovuto seguirlo, colpirlo davanti ad Agraria, poi ritirami verso Biologia. Io eseguii gli ordini, poi corsi a perdifiato, in preda ai panico, senza nessuna ragione. Non c'era nessun pericolo,- ma io, che mi consideravo un militante d'acciaio, mi resi conto di essere un fallito. Una cosa sono gli scontri di piazza, in mezzo agli amici, contro avversari armati come noi, un'altra è aggredire da solo una persona inerme".
E il gennaio '75. La crisi è dura, ma rapida. Quando, un paio di mesi più tardi, lo stesso Di Domenico gli parla della nuova spedizione che si sta organizzando, Cavallari rifiuta: teme, dice, le conseguenze penali di quell'altro fatto. Di Domenico, che l'aveva già giudicato dopo quel primo episodio, se l'aspettava. E la sua candidatura cade. All'omicidio Ramelli Cavallari non parteciperà. Lo dice lui, e lo hanno già confermato tutti gli imputati sentiti finora.
Per questo ora ne può parlare con la lucidità e la franchezza di chi se ne sente personalmente fuori. Ricorda le violentissime discussioni dei giorni successivi, quando si seppe della gravità inaspettata che aveva avuto quella "normale" aggressione, lo sbandamento dell'intero gruppo, le crisi individuali. E dice che la discussione coinvolse anche i vertici politici:
"Grassi ne ha certamente parlato con le istanze superiori. E le istanze superiori di Grassi, il responsabile politico di Città Studi, era Basilio Rizzo", l'attuale capogruppo consiliare di Dp al Comune di Milano.
La deposizione è conclusa. Il Pm Dameno chiede se abbia mai saputo qualcosa delle schedature degli avversari politici (l'archivio di viale Bllgny). "Ne ho vista qualcuna solo durante l'istruttoria. È impressionante. Mi è sembrata una presa in giro. Io, in buona fede, credevo di fare la rivoluzione, e scopro che qualcuno faceva il Kgb e schedava la gente. Mi sono chiesto: ma dove ero andato a finire?".
Prima di Cavallari era stato sentito Franco Castelli. Anche lui è accusato dell'omicidio Ramelli e vi prese parte come palo. Ma capitò nell'impresa, dice, all'ultimo momento, senza averne saputo nulla prima e senza aver partecipato alla preparazione: giusto due giorni prima di quel 13 marzo aveva sostenuto un impegnativo esame, ed era rimasto tagliato fuori. Anche lui, come i suoi compagni più consapevoli, ne uscì sconvolto. Chiese alla responsabile della cellula di esonerarlo da qualunque incarico, e nel settembre '75, con il conseguimento della laurea, chiuse definitivamente quell'attività politica cominciata sotto auspici così infausti.
Paola Boccardo
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