Archivio Sergio Ramelli

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L'Unità, 25/3/1987

Ramelli? Dovevamo solo...

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Al processo per l'uccisione del giovane missino drammatica deposizione di un "ex picchiatore", ora dentista
"Ramelli? Dovevamo solo dargli una lezione..."
Parla Luigi Montanari, ex di AO, che allora fece da "palo": "Non lo conoscevo nemmeno, poi lessi sul giornale che era in coma".

MILANO La mattina del 13 marzo 1975 Luigi Montinari frequenta la lezione di pediatria all'ospedale di Vialba, poi con la sua 500 si precipita a Città studi: nell'auletta di biologia lo aspetta, per consegnargli una chiave inglese, Roberto Grassi, capo della "squadretta di Fisica" di Avanguardia Operaia: 'Sbrigati, sei in ritardo'. Montinari fa parte da due anni della "squadretta di Medicina" alla quale il "servizio d'ordine" di AO ha affidato il compito di "dare una lezione a quel fascista". Primo ad essere interrogato per l'omicidio dì Sergio Ramelli è Luigi Montanari. Oggi ha 40 anni, fa il dentista. Davanti a lui, il presidente della corte, Antonino Cusumano, sembra il demiurgo che scava nei meandri di quei lontani terribili ricordi, che in parte il "cosciente" ha rimosso, ma senza cancellarli del tutto. Affiora, davanti alla platea ammutolita di imputati e avvocati, un tormento represso per dodici anni.
    "Non lo conoscevo, non sapevo nemmeno chi fosse. Giungemmo in via Amadeo, ognuno prese il proprio posto". Sergio Ramelli abita in via Amadeo 40: alle 13, quando torna a casa, appoggia il motorino ad un paio. Presidente: "Ricorda come vi collocaste?". Montinari: "Io, Castelli e Colosio davanti al negozio sull'angolo con via Paladini; Scazza e Costantini dall'altra parte, verso il centro; Costa e Ferrari Bravo si addentrarono nella via Paladini". Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo nel ruolo di picchiatori, tutti gli altri con compiti di 'copertura'. Un'attesa di dieci minuti.
    Presidente:     "Poi arrivò il ragazzo col motorino...".
    Montinari:      "Non l'ho nemmeno visto arrivare. Guardavo le vetrine. Poi ho visto Marco Costa uscire correndo da via Paladini. Doveva essere il segnale di andarcene, avvisai Colosio e Castelli. Ci siamo trovati in via Arnò, quindi nell'auletta di Biologia, riconsegnammo le chiavi inglesi a Roberto Grassi. Poi andai a casa, ci restai tutto il giorno". Davanti al civico 15 di via Paladini, intanto, Sergio Ramelli viene raccolto con la testa fracassata. Morirà il 29 aprile. Parla ancora, Montinari, a briglia sciolta, il tono dimesso, uno sfogo. "La mattina dopo cercavo sui giornali un trafiletto del tipo 'Giovane fascista aggredito'. Invece il giornale diceva che il ragazzo era in coma. Non ci aspettavamo assolutamente una cosa del genere. Mi recai da Grassi, gli proposi di sciogliere subito la squadra. Lui disse: non è il caso, aspettiamo". Il presidente incalza: "E dopo, vi siete incontrati?" Imputato: "Si, ma per caso. Avevamo vergogna, questo lo dirò sempre. Qualcuno disse: Ramelli sta migliorando". Montanari non ricorda se qualcuno disse anche: stiamo zitti, non corriamo rischi perché non ci saranno fughe di notizie. Cusumano chiede conferme sul ruolo di Brunella Colombelli, indicata come 'staffetta' del servizio d'ordine e fornitrice di informazioni, le famose schedature trovate nell'abbaino di viale Bligny. Ma Montinari afferma di non avere notizie dirette. La foto di Ramelli, mostrata alla squadretta prima del pestaggio, lui non l'aveva vista. Montinari era solo un 'manovale', obbediva a Costa e a Grassi. Il PM, Maria Luisa D'Ameno: "Ma perché aggredire Ramelli? L'aggressione aveva una prospettiva 'politica'?" Imputato: "Si, quella di rendere inagibili determinati spazi ai fascisti. Nessuno di noi, ad esempio, osava mettere piede in piazza San Babila". Presidente: "Ma perché usare la chiave inglese? Non immaginavate che poteva procurare conseguenze molto più gravi?" E' statoli nostro errore di valutazione". Montinari non va oltre, forse per scelta. Interviene il suo legale, l'avv. Isolabella: "Gli altri usavano coltelli e pistole". Il processo riprende domani.

Giovanni Laccabò

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