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Le cause del femminicidio nella coppia: alcuni pregiudiziFrancesca da Rimini

Abbiamo visto che non è facile individuare una causa unica del fenomeno dell'uccisione della donna all'interno del rapporto di coppia. Veniamo ora a porci un quesito cruciale: come possiamo comprendere il silenzio che circonda le vittime di questa forma terribile di violenza? Per quale ragione quando noi leggiamo sui giornali della morte della signora N. di Pavia, della morte della signora C. di Padova, della signora R. di Catania, della signora L. di Torino accettiamo tutto questo o con disinteresse o al più con un senso di rassegnazione impotente? E soprattutto, perché il nostro atteggiamento cambia in modo repentino nei rari casi in cui è la donna a uccidere e l’uomo a morire?

Una prima risposta potrebbe essere riassunta in una semplice parola: abitudine. Siamo così abituati, ormai, a leggere di uomini che uccidano la propria moglie – o ex moglie o ex fidanzata –  che finiamo per trascurare l’aberrazione implicita in questi atti. Siamo così abituati che non ci facciamo più caso. Questo è vero ma è solo una mezza verità. O meglio, il problema si sposta in termini diversi e ci chiediamo: perché ci abituiamo a fatti del genere? Negli anni ’70, in Italia, quando c’era il terrorismo era ormai “abituale” sentir scoppiare delle bombe e leggere sui giornali di attentati. Ma per fortuna la gran parte della popolazione seppe reagire di fronte a tutto ciò e il terrorismo è stato vinto. Perché la gran massa della popolazione e buona parte delle elites culturali sembrano invece indifferenti di fronte al fenomeno? Questo appare davvero singolare nel momento in cui consideriamo che gli esseri umani non si abituano alle aberrazioni: le subiscono, al più, ma sempre lottano contro di esse: si subisce la guerra, le sue regole crudeli, si subisce il tradimento, si subisce la tortura… Subiamo talvolta tutte queste aberrazioni e in certe particolari condizioni le persone coinvolte possono addirittura rischiare di essere travolti da tale aberrazioni. Ma nell’umanità permane sempre il senso della ragione e un istinto naturale a rivoltarsi contro tutto ciò che distrugge i nostri valori: anche nella prima guerra mondiale, i soldati sul fronte occidentale smisero di spararsi il giorno di natale, si incontrarono e si abbracciarono: rifiutarono l’abitudine all’aberrazione, con un gesto di umanità e di coraggio. E allora ci si chiede: è possibile che noi, nella sicurezza della nostra vita presente, non riusciamo a trovare la forza di indignarci di fronte a questa emergenza? Perché consentiamo all’abitudine di frapporsi fra noi e la giustizia?

A questa domanda dobbiamo dare una risposta dura: evidentemente la morte causata da un uomo alla propria (ex-) donna non è considerato aberrante in modo unanime: evidentemente un simile atto non pare a tutti come una minaccia ai nostri valori. Per meglio dire  sono all’opera, nel nostro modo di valutare queste situazioni, alcuni stereotipi e pregiudizi che finiscono per annullare la nostra capacità o la nostra volontà di reagire. Quali sono questi pregiudizi? Abbiamo individuati tre pregiudizi cruciali che, di fatto, operano nella nostra cultura e che hanno un ruolo cruciale nel fenomeno che stiamo indagando. Alcuni di questi pregiudizi sono operanti da tempo nella nostra società; altri sono relativamente recenti. Due di questi pregiudizi sono dichiaratamente sessisti, il terzo, almeno in apparenza, non sembra avere a che vedere con differenze di genere. In quanto segue distingueremo, relativamente agli effetti di questi pregiudizi, tra un ruolo attivo (un ruolo cioè rivolto a causare l'azione dell'omicida ) e un ruolo passivo (un ruolo cioè rivolto alla giustificazione dell'omicida nell'opinione pubblica).  

PREGIUDIZIO UNO - La donna non si appartiene completamente.

PREGIUDIZIO DUE – La donna trova la sua realizzazione nella pazienza e nella mansuetudine.

PREGIUDIZIO TRE – Ciò che concerne l’intima unione tra due persone è parzialmente indecrittabile sul piano razionale, riguarda esclusivamente loro e non può essere giudicato con occhi esterni.

  Questi, a nostro avviso, sono i pregiudizi che operano nel dar vita al fenomeno (ruolo attivo) e nel giustificarlo (ruolo passivo). Vediamo di analizzarli con maggiore precisione.

Pregiudizio I: La donna non si appartiene completamente - Il primo pregiudizio è certo quello di matrice più antica. Deriva almeno dallo status giuridico della donna così come era regolato nel diritto romano - e anche nella cultura di alcune comunità greche: la donna è del padre, oppure del marito. Si tratta di una concezione arcaica che tuttavia fino a pochi anni fa ha continuato a operare in modo esplicito: si pensi che in Italia le donne hanno il diritto di voto solo da 50 anni; si pensi che fino a pochi anni fa il reato di stupro non era ancora considerato come un reato contro la persona della donna ma contro “la morale”, il che altro non era che una trasposizione del diritto alll’”onorabilità della famiglia”, ovvero del pater che, arcaicamente, veniva considerata unica parte lesa nello stupro. Oggi, sul piano giuridico il pregiudizio I appare per quello che è, un’aberrazione inaccettabile; tuttavia è profondamente radicato nella nostra cultura, costituendo quasi un substrato atavico; per questo quando opera non opera mai in modo trasparente, chiaramente esplicitato. Tuttavia,  non di rado, in tutti i campi in cui i vincoli razionali vengono meno, esso riesce talvolta ad operare in modo tacito, silente, spesso inconfessato e inconfessabile: pochi – o forse nessun uomo o donna - direbbero mai che la donna non si appartiene compiutamente, ma molti saranno disposti a dichiarare che dobbiamo considerare in modo diverso la libertà sessuale dell’uomo e quella della donna; e se chiederemo spiegazione di tale differenza non la otterremo mai; otterremo solo vaghe espressioni estetiche del tipo “a me non piace che una donna si comporti in un certo modo” oppure “non è bello che una donna faccia questo e quello”…Insomma non troveremo mai citato questo pregiudizio come espresso da qualcuno. Ma molti, di fatto, mostrano chiaramente che i loro pensieri sono uniformati a quel pregiudizio stesso. Nel caso della “morte della donna” il pregiudizio ha un ruolo esclusivamente attivo nello spingere l’omicida al suo gesto. Tale pregiudizio, represso dalla espressione quotidiana riemerge in condizioni di stress e sostiene la volontà dell’assassino. Fortunatamente, nell’occidente, non ha alcun ruolo nel determinare l'atteggiamento della pubblica opinione di fronte al fenomeno oggetto di indagine. 

Pregiudizio 2: La donna trova la sua realizzazione nella pazienza e nella mansuetudine -  Il secondo pregiudizio ha origini più recenti: indubbiamente in esso confluiscono sia dottrine cristiane che modi di pensare antecedenti, legati al ruolo tradizionale di donna come madre, come “angelo della casa”, come “riposo del guerriero” e così via. Questo pregiudizio opera nella nostra società in modo assai più esplicito e dichiarato del primo. Nessuno sarebbe disposto a dichiarare che "la donna non si appartiene completamente" ma in molti condividono certi stereotipi per cui "certi atteggiamenti aggressivi o anche solo intraprendenti non si addicono a una donna". Il pregiudizio svolge un ruolo sia nello spingere l'assassino al suo crimine (ruolo attivo) sia - seppure in misura minore - nel giustificare il crimine agli occhi dell'opinione pubblica (ruolo passivo). Il modo con cui il pregiudizio opera è' evidente: la donna dei nostri tempi non sempre vuole o può accettare gli stereotipi comportamentali implicati da questo pregiudizio e sovente vive in modo completamente opposto rispetto ad essi. Accade così che, in certe particolari situazioni di tensione, di frustrazione e/o di incomprensione, questo pregiudizio può contribuire a spingere l'omicida verso il delitto. Per quanto concerne il suo ruolo passivo esso agisce - seppure in misura abbastanza irrilevante - nel produrre, talvolta, sentimenti di solidarietà generici rivolti verso gli uomini della società contemporanea, o, analogamente, sentimenti di biasimo verso donne caratterizzate da una forte indipendenza e autonomia. 

 Pregiudizio 3: Ciò che concerne l’intima unione tra due persone è parzialmente indecrittabile sul piano razionale, riguarda esclusivamente loro e non può essere giudicato con occhi esterni - Il terzo pregiudizio è più recente (la sua matrice culturale romantica è autoevidente), e non a caso è quello che opera con più frequenza e con maggiori conseguenze. Esso consiste nell’idea che la coppia sia irriducibile ai soggetti che vi prendono parte, (fino al punto in cui le stesse identità delle persone che la costituiscono si annullano nella coppia stessa) e che il rapporto di coppia sia intessuto imprescindibilmente di elementi irrazionali, incomprensibili al resto del mondo ed accessibili, al più, solo ai componenti della coppia: la coppia non viene vista come un aspetto, seppur fondamentale, della vita di due persone distinte; viene vista piuttosto come il luogo  in cui tutti i sogni vengono realizzati, in cui i fallimenti vengono dimenticati, in cui gli errori vengono santificati. In questo contesto la coppia non appartiene al mondo: è qualcosa di rigorosamente privato e viene percepita, da chi ne fa parte, come un mondo magico e meraviglioso quasi sempre in antitesi col resto dell’universo. La coppia stessa finisce per essere percepita come dotata di una sua personalità, quasi fosse una sorta di terza persona.  La coppia che si uniforma a questo pregiudizio è per forza di cose una coppia chiusa, olistica,  e viene vissuta con delle aspettative particolarmente elevate. 

Questo terzo pregiudizio, che chiameremo in quanto segue il pregiudizio della “coppia olistica” e anche “della nevrosi della coppia” è straordinariamente diffuso nella società contemporanea, al punto che a molti di noi non pare un pregiudizio, ma qualcosa di assolutamente naturale se non addirittura di inevitabile. Si tratta, chiaramente, di un errore evidente in quanto le idee che stanno alla base della coppia olistica sono recentissime (sono frutto del periodo romantico) e non erano certamente condivisibili nel '700, nel '600 o nel '500. La coppia, nella nostra tradizione, è stata sentita come qualcosa di essenzialmente pubblico, suscettibile alla comprensione e all’approvazione della comunità; non è mai stata sentita come legata a elementi irrazionali come “l’amore romantico”  o la passione, ma piuttosto si è da sempre motivata anche e soprattutto con motivazioni concrete o addirittura utilitaristiche. Questo pregiudizio, talmente diffuso da essere sentito come “normalità”, svolge un ruolo cruciale nei meccanismi che scatenano il fenomeno che abbiamo chiamato “morte della donna nella coppia”. In che modo opera il pregiudizio? In tutte le fattispecie legate all’abbandono o al tradimento la sua funzione è autoevidente: poiché la coppia olistica non è riducibile agli interessi di coloro che la costituiscono ma - in un certo qual modo - è vista come dotata di propria vita, ogni atto di distruzione della coppia viene percepito come illegittimo e ingiusto e l’abbandono stesso come un lutto. Difatti l’eccesso di aspettativa che questo pregiudizio pone sulla coppia innesca dei meccanismi perversi a causa dei quali l’abbandono non viene accettato come un evento legittimo; per come si è detto la coppia tende ad assorbire, ad annullare le personalità dei componenti fino al punto da non rendere concepibile la vita dei componenti senza la coppia: il mutamento di atteggiamento da parte di uno dei membri, la scelta di rinunciare al rapporto di coppia viene percepita dall’altro come inaccettabile e incomprensibile. Questi sentimenti si mescolano alla naturale delusione e frustrazione sessuale ed emotiva creando una miscela pericolosissima nella quale il naturale risentimento si sposa a una visione apparentemente lucida per cui l’abbandono è visto esso stesso come un crimine contro la coppia e gli appartenenti: da questo contesto non di rado possono nascere atti volti a distruggere l’ex partner. 

Questo pregiudizio ha davvero un ruolo cruciale nella dinamica dell'assassinio e quasi sempre costituisce il vero e proprio motore che guida l'omicida. Essendo peraltro un pregiudizio diffuso - talmente diffuso da non essere spesso riconosciuto in quanto pregiudizio -  il suo ruolo passivo é ugualmente rilevante. Larghi settori dell’opinione pubblica di fronte a eventi del genere tendono ad assumere un atteggiamento che, alla luce del pregiudizio, è del tutto naturale: di fronte a una catena di eventi in cui la signora Maria ha deciso di lasciare suo marito Mario per cui Mario decide di assassinare Maria,  l'opinione pubblica tende a considerare quest'ultimo evento come un errore, come un eccesso terribile, il quale tuttavia si spiega e si comprende come corollario a un ulteriore dramma: la morte dell'Amore tra Maria e Mario. Maria e Mario finiscono per essere accomunati da questo dramma, vittima e colpevole assieme per sempre, nello stesso calderone (anche se Maria voleva cessare di essere accomunata a Mario...): e se in genere si riconosce una certa responsabilità a Mario non si può fare a meno di riconoscergli l'attenuante del suo lutto personale: è vero che lui ha ucciso Maria ma è anche vero che Maria ha ucciso il suo amore. Questo è ovviamente privo di senso: l'unica ad essere morta è Maria, perchè l'amore, al di là della metafora, non è un essere umano che può essere ucciso. Gli esseri umani possono essere uccisi e quando questo avviene si dovrebbe avere ogni cura nell'evitare di mescolare vittima e carnefice. Ma il pregiudizio della coppia olistica ci rende tolleranti nei confronti di questi eventi... Non siamo forse tutti noi terrorizzati dall'idea di essere noi stessi abbandonati? 

Abbiamo quindi individuato e analizzato tre pregiudizi che operano, a livello differente e con ruoli molto diversi nella nostra società; di essi nessuno è veramente capace da solo di spiegare il fenomeno in oggetto; certo non il primo, certo non il secondo. Ma neppure il terzo: senza la presenza degli altri due in effetti il terzo non spiegherebbe perchè mai sono quasi sempre le donne ad essere vittime di omicidi all'interno della coppia. Vale la pena di notare che di questi pregiudizi due sono tipicamente sessisti mentre il terzo, apparentemente non lo è; tuttavia le principali conseguenze di questo pregiudizio vengono nondimeno sempre sofferte dalla donna: essa, lasciata sola nella coppia chiusa, finisce per divenire la vittima tipica di essa. In ogni caso nella pagina intitolata  L'impero della cultura maschile  mostreremo che anche questo terzo pregiudizio, pur non essendo dichiaratamente sessista è in realtà il frutto di una cultura che si può qualificare come propriamente "maschile".

Per ora ci accontentiamo di concludere che abbiamo individuato, alla base del fenomeno, una serie di pregiudizi culturali che, esplicitati o meno, sembrano decisamente attivi ed operanti.  E’ doveroso quindi spogliarci degli atteggiamenti ottimistici che ci spingono a riguardare il fenomeno della morte donna come un fenomeno marginale, un ultimo colpo di coda ddi una cultura morente. Al contrario quella cultura non è affatto morente ma è viva ed attiva. 

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