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Processo ad ArtemisiaCarolina Gentili interpreta Artemisia Gentileschi

dai documenti originali del processo per stupro

a cura di Paolo Bussagli, con Carolina Gentili, Paolo Bussagli, Giulio Roselli, Masismo Magazzini, Paola Galligani

Costumi di Angela Bonemei

Note di Regia |  Rassegna stampa | Genesi | Materiale Multimediale

 

Questo spettacolo, consigliato dalla Consigliera di Parità della Regione Toscana Marina Capponi riguarda un personaggio ben noto: Artemisia Gentileschi è un’icona del femminismo moderno. Ma è, soprattutto, una grande artista, una tra le prime pittrici e senz’altro la più particolare. E difatti anche coloro che la reputano una “minore” le riconoscono un interesse del tutto peculiare. In Artemisia vi è la scoperta di una grande novità: la dimensione di una alterità, di un differente modo di rappresentare e di vedere la realtà: un modo femminile, antichissimo, eppure del tutto nuovo perché fino a lei lasciato nel silenzio cui secoli di cultura maschile hanno sempre ridotto le donne. Ed è parte personale della difficile vita di Artemisia il suo processo, un contrappasso quasi obbligato. Lei, che per prima ha dipinto volti femminili veri, reali, pura interprete del femminino, lei artista indipendente, ottima manager di se stessa, donna di cultura e di valore, viene degradata nel processo a parlare solo della sua vita sessuale, quasi ridotta ad essere volgare oggetto di piacere e niente altro. 

Esiste peraltro un discutibile film, fatto in anni recenti che ha cercato di raccontare, la vicenda processuale di Artemisia in modo fantasioso e difforme dai documenti trasformando una sordida vicenda di stupro in una improbabile storia d'amore preromantica. E' forse destino che le "icone" siano spesso sottoposte a operazioni di deformazione. Proprio per questo , nel nostro "processo ad Artemisia" abbiamo cercato di mantenerci il più possibile legati ai documenti originali, nella convinzione che le grandi anime non meritino gli insulti e non abbisognino di apologie. Difatti è dalla realtà dei fatti che emerge il suo coraggio, reso ancora più mirabile proprio dal suo status di donna della controriforma: una donna stuprata che può ottenere parziale giustizia solo affrontando un processo infamante ed essendo sottoposta lei, vittima, a una dolorosa tortura mentale e fisica. Lo spettacolo finisce così per essere un interessante documento giuridico che consente di esplorare come veniva istruito e di come si svolgeva in quegli anni un processo: l’uso della tortura, la manifesta volontà di non rivelare gli accusati i carichi che pendono sopra di loro ci riportano a prassi giuridiche arcaiche, alle quali fortunatamente non siamo più abituati. Tuttavia la struttura della messa in scena – cui non mancano i bei momenti di teatro – è simile a quella di un format televisivo, quasi una sorta di singolare “Ieri in Pretura”: la lubrica curiosità del pubblico viene incoraggiata, portata alle sue estreme conseguenze fino a scoprire con preoccupazione che i pregiudizi che amareggiarono gli anni di Artemisia sono ancora oggi vivi e vegeti. Magari inespressi, magari non più dichiarati e tuttavia presenti nel sangue e nell’anima dei più, frammisti a giudizi di valore che si mascherano da giudizi estetici. 

La scelta di mantenere il latino (che viene costantemente usato dai giudici durante lo spettacolo e che si affianca al “volgare” usato da attori e convenuti) soddisfa a una duplice finalità: da un lato mantenere il rigore del “documento processuale”; dall’altro rendere esperibile la lontananza della giustizia dalla donna. Abbiamo di fronte, in modo chiaro, una giustizia fatta dagli uomini, costruita dagli uomini di cui le donne sono state, fino a pochi decenni fa, solo oggetti o spettatori. Una giustizia siffatta è, per lo meno, una giustizia lontana, a tratti incomprensibile, a tratti confusa. Una scelta ardua, ma stimolante, quasi una prova suprema per degli attori: si può recitare in latino e in volgare costruendo tuttavia uno spettacolo fruibile ed apprezzabile da tutti.

  FRancesca da Rimin

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